Il finto rigore dell'Agenzia Entrate: fiscale con noi, non con se stessa

Il caso dei funzionari che fanno i dirigenti senza aumenti

Il finto rigore dell'Agenzia Entrate: fiscale con noi, non con se stessa

Milano - L'Agenzia delle Entrate, si sa, è sinonimo di fiscalità. Non solo perché si occupa di riscuotere le tasse, ma anche per il rigore con cui ne esige il pagamento. Eppure, a guardare meglio, si scopre che non tutto, dalle parti di via Cristoforo Colombo, è così rigoroso. Questa almeno è la versione di centinaia di ex dirigenti incaricati, retrocessi a funzionari dopo una sentenza della Consulta e quindi assunti con le cosiddette Posizioni Organizzative temporanee (Pot, ndr) per supplire alla mancanza di dirigenti. Pot che sostengono di svolgere le mansioni dei dirigenti mancanti senza riceverne lo stipendio.

Nella primavera 2015 la Consulta dichiara illegittimi gli incarichi dirigenziali conferiti, sin dai primi anni Duemila, a diverse centinaia di funzionari di fascia alta selezionati all'interno dell'Agenzia. Il 25 marzo gli incaricati si vedono recapitare una lettera a firma di Rossella Orlandi con cui si comunica che «ringraziando per il lavoro svolto, l'incarico dirigenziale veniva meno» dall'indomani. Con la promessa in calce che l'Agenzia avrebbe «saputo superare anche questa situazione». Come? Con il Dl 78/15, che attribuisce ai funzionari di fascia alta selezionati - in molti casi gli ex dirigenti incaricati proprio le Pot. Soluzione del resto comprensibile, se si considera che il venir meno di oltre due terzi dei dirigenti rischiava di portare alla paralisi.

Peccato che, protestano ora le Pot, chi occupa queste posizioni svolgesse e svolga gran parte delle mansioni che assolveva prima, a volte con deleghe di firma superiori, ma senza percepire lo stipendio da dirigente. Se infatti un dirigente di seconda fascia a Milano percepisce fino a 83mila euro annuali, alle Pot vengono riconosciuti, oltre allo stipendio da funzionario, circa 26mila euro all'anno. Una differenza di circa 30mila euro. Va detto, per correttezza, che l'Agenzia non poteva fare altro, perché la retribuzione delle Pot è stabilita da una legge - con cui il governo può intestarsi la spending review.

Tuttavia, secondo l'avvocato Sergio Galleano, legale di diverse Pot, «si tratta di un demansionamento di fatto ma non di diritto, persone che lavorano regolarmente ma la cui retribuzione è sicuramente inadeguata». Interpellata in merito, l'Agenzia spiega al Giornale che «non si può parlare di stesse attività» perché le Pot «prima erano dirigenti incaricati e ora sono delegati». Ma ammette anche che «può essere capitato» che «qualcuno sia rimasto nella stessa attività e quindi magari si è ritrovato a fare le stesse cose».

Funzionari delegati, insomma, che lavorano come tali ma sono pagati molto meno.

Intanto il 31 dicembre, quando le Pot scadranno, si avvicina, con i nuovi concorsi paralizzati da una miriade di ricorsi e il rischio di bloccare tutta l'Agenzia se gli atti firmati dalle Pot dovessero essere dichiarati nulli ex tunc. In ballo c'è la voluntary disclosure e la lotta all'evasione con l'obiettivo dei 15 miliardi da recuperare. Da più parti si chiede a gran voce una sanatoria. Al momento, però, il governo resta immobile.

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