Le firme dei medici che difendono il Trivulzio Il direttore: "Sono vere, denuncio chi lo nega"

Un'infermiera: "Falsificata". La replica: "Il suo nome nemmeno compare"

Le firme dei medici che difendono il Trivulzio Il direttore: "Sono vere, denuncio chi lo nega"

Milano Firme «taroccate»? No. Firme «falsificate»? Men che meno, denunciamo chi lo afferma. Pierluigi Rossi, direttore socio sanitario del Trivulzio, non aveva più fatto dichiarazioni dopo quella lettera del 7 aprile in cui una cinquantina di operatori sanitari respingevano le accuse di non aver fatto nulla per tutelare i pazienti dalla diffusione del Coronavirus. Ma ora ha deciso di intervenire, visto che si è parlato di firme «contraffatte» in calce al documento che porta il timbro del suo ufficio.

In un articolo di Repubblica, spiega Rossi, «vengono riportate le asserzioni dell'infermiera A.C. (il nome è per esteso nella denuncia del dirigente, come nell'intervista cui si riferisce, ndr) che lamenta l'esistenza in corrispondenza di detta lettera della sua sottoscrizione che però non avrebbe mai apposto». Aggiunge Rossi: «La magistratura avrà modo di appurare la verità dei fatti» oggetto dell'inchiesta. Ma riguardo alla lettera: «Tutte le firme riportate nel documento sono state apposte dagli effettivi titolari e nessuna è stata alterata. La sottoscrizione dell'infermiera intervistata non compare in quella nota (né originale, né contraffatta, trattandosi tutte di firme riferibili ad altri soggetti) e, dunque, non si capisce come possa aver sostenuto quanto dichiarato; oltretutto la lettera riporta solo firme di personale della sede milanese del Trivulzio, mentre chi ha mosso la grave contestazione di cui si discute, svolge il proprio incarico a Merate. Ciò precisato, invito volentieri l'operatrice sanitaria in questione a chiarire a quale firma intenda riferirsi, verificando a chi realmente appartenga, come chiederò anche agli organi inquirenti di farlo, ragion per la quale sporgerò prossimamente denuncia a tutela della verità, nonché del mio decoro e professionalità». C'è in effetti la firma di una persona che ha lo stesso nome e un cognome che comincia con la C, ma è di un'operatrice che è stata individuata e ha confermato di aver firmato. Che l'infermiera si sia confusa?...

Il direttore socio sanitario più in generale sottolinea poi la «grande amarezza» nel ricevere certi attacchi. Ricorda il lavoro dei dipendenti «al limite di ogni materiale possibilità», che il Pat «è una struttura pubblica che non aveva alcun interesse economico nella vicenda» e che «nessun operatore aveva interesse a favorire il diffondersi del Covid-19, considerato che poi in quegli stessi spazi lui e i suoi colleghi dovevano» lavorare.

Intanto la Procura di Milano, sulla base dei documenti agli atti, ha ricostruito che il 14 marzo la Direzione Welfare di Regione Lombardia spiegava al Trivulzio che per «difficoltà di approvvigionamento» di mascherine era prioritario tutelare il personale a contatto con pazienti positivi.

Ma d'altra parte, scriveva l'istituto, i tamponi erano in quel momento destinati «alle strutture ospedaliere e non alle strutture socio sanitarie». Domani il pool di pm guidato dal procuratore aggiunto Tiziana Siciliano comincerà le audizioni a distanza, in videoconferenza, delle persone informate sui fatti. Saranno sentiti anche medici, infermieri e oss.

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