Laura Cesaretti
Roma Metti una sera - dopo cena - alla Festa dell'Unità: a darsele di santa ragione (in senso figurato) sul palco ci sono Massimo D'Alema e Roberto Giachetti. A darsele di santa ragione (in senso meno figurato) in platea ci sono centinaia di militanti, accorsi a seguire il match sulla riforma costituzionale.
Urla, fischietti, strepiti, «buuuu», applausi scroscianti, interruzioni dal pubblico: a fine serata, ci si chiede se il Pd - perché la partita si è giocata tutta in casa - possa sopravvivere, senza spaccarsi definitivamente, allo scontro referendario. Che poi è, essenzialmente, uno scontro su Matteo Renzi: anche se il premier ha imboccato con decisione la strada della «spersonalizzazione» del referendum, si capisce che dentro la sinistra e nella stessa base del Pd è ancora e sempre lui l'oggetto del contendere. Da una parte c'è il renziano Giachetti, dall'altra la punta di diamante della vecchia guardia post-Pci, che non ha mai digerito lo smacco di essere stata «rottamata» ed estromessa dalla stanza dei bottoni da quel giovane toscano così estraneo alla loro scuola e così allergico al loro primato. Una vecchia guardia che ora vede nel referendum, al di là di ogni considerazione di merito, lo strumento che può permettere loro di scalzare Renzi e riprendersi il Partito. «Ce ne vuole per rottamarci! Venderemo cara la pelle», giura D'Alema.
Il match va avanti per due ore, fino a tarda sera, moderato - a fatica - da un Enrico Mentana che ribattezza i due oratori «i nuovi Sandra e Raimondo». «Non voglio creare correnti, ma dare voce a quel popolo della sinistra che non condivide questa riforma», esordisce l'ex premier. «E io voglio rappresentare le tante persone che si sono stufate di aspettare da trenta anni che arrivino le riforme, che invece si sono sempre arenate tra le chiacchiere», ribatte il vicepresidente della Camera, «Ora finalmente possiamo proporre qualcosa di concreto ai cittadini, che poi decideranno». Macchè, la riforma Renzi «è un pasticcio, è inutile, è dannosa, è una stravaganza», tuona D'Alema, che lamenta: «Si sarebbe potuto abolire il Senato, bastava elevare a rango costituzionale la Conferenza Stato-Regioni». «E perché quando toccava a voi non lo avete fatto?», ribatte pronto l'altro. Poi D'Alema attacca sull'Italicum: «Il doppio turno andava bene con il bipolarismo, adesso no».
«Ma le leggi elettorali non si fanno per vincere ma per sapere chi governa», obietta Giachetti. Che, con coup de théâtre finale, tira fuori il «patto della crostata» di dalemiana memoria, citando la Treccani. Lui tenta di parare il colpo: «A quella cena a casa Letta non ricordo ci fosse la crostata».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.