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Fisco, giustizia, bollette e Pnrr. Tutte le riforme che si arenano se cade il governo

Il grillino D’Incà elenca le misure che rischiano di saltare se si torna alle urne. Al palo anche le norme su salario minimo, concorrenza e spettacolo

Fisco, giustizia, bollette e Pnrr. Tutte le riforme che si arenano se cade il governo

Aveva provato a mediare fino all'ultimo per scongiurare la crisi. Poi il suo tentativo di evitare la fiducia al Senato sul decreto aiuti è fallito ed è precipitato tutto fino alle dimissioni di Draghi. Ieri Federico D'Incà, ministro dei Cinque stelle per i Rapporti con il Parlamento ha deciso di intervenire in modo dirompente a sostegno di una prosecuzione del governo. Un segnale deciso arrivato mentre era in corso il Consiglio nazionale del Movimento, a cui D'Incá non ha partecipato, con il leader Giuseppe Conte che era a confronto con i vertici pentastellati sul comportamento da genere a rispetto a una eventuale verifica di maggioranza. Nelle stesse ore il ministro ha diffuso un allarme sui provvedimenti urgenti che rischiano di subire uno stop con un esecutivo dimissionario. Una scheda diramata ai giornali con un elenco di tutti gli interventi che sono all'esame delle Camere. Lo stallo politico «impedirebbe l'adozione di provvedimenti molto attesi dai cittadini come le misure relative al salario minimo e al contrasto della povertà - ricorda -. Si creerebbe, peraltro, anche una situazione di incertezza sull'adozione di misure volte a mitigare gli effetti dell'incremento dei costi dell'energia e dei carburanti».

D'Incá descrive uno scenario «estremamente critico» con i decreti legge pendenti in Parlamento e con le riforme necessarie a conseguire «gli obiettivi del Pnrr entro dicembre 2022» che non giungerebbero al traguardo, dalla concorrenza, ancora da approvare, alla riforma della giustizia, che aspetta invece i decreti attuativi. A rischio c'è anche la prossima rata di fine anno da 21 miliardi del Pnrr, che per arrivare dovrà ottenere l'ok della Commissione europea che monitora i traguardi raggiunti dal nostro Paese.

Sono nove le riforme in attesa di diventare operative: quattro devono ancora ottenere l'ok definitivo, mentre per altre cinque mancano i decreti attuativi. Per il codice degli appalti, il processo civile e penale entro dicembre vanno chiuse le norme collegate. Per la riforma dell'ordinamento giudiziario e la delega sullo spettacolo c'è tempo fino al 2023.

C'è il ddl Concorrenza passato al Senato e ora in commissione alla Camera. Per superare il braccio di ferro politico sui taxi, prima dell'annuncio delle dimissioni di Draghi, si stava trattando per arrivare a una soluzione o con una riscrittura della norma o, come chiesto dalla Lega ma anche dal Pd, attuando la riforma già approvata a inizio legislatura. «Gli accordi di maggioranza prevedevano l'ok entro luglio», ricorda D'Incà. Entro dicembre 2022 andranno adottati i decreti attuativi.

Al palo resterebbe anche la riforma del Fisco. Sulla delega fiscale la maggioranza si era spaccata più volte. Approvata dalla Camera dopo accesi scontri sul catasto, ora è in commissione Finanze del Senato. Contiene i tagli Irpef per i redditi medio-bassi e il superamento dell'Irap. «Se si fermasse - osserva il ministro - si perderebbe la possibilità di consegnare agli italiani un fisco più equo a vantaggio dei cittadini onesti, comprese le nuove regole sul catasto». E ancora: «Appare utile anche ricordare che nelle prossime settimane dovrebbero essere presentate, sulla base degli impegni assunti dal nostro Paese, ulteriori nuove riforme, tra cui si segnalano in particolare quelle in materia di alloggi universitari e la riforma degli istituti professionali».

C'è anche la riforma sui processi tributari in commissione riunite al Senato. Da approvare entro dicembre 2022, anche il codice della proprietà industriale, in commissione a Palazzo Madama.

Il problema, avverte il ministro, è che nel caso di «posizioni contrapposte» nella maggioranza o di «ostruzionismo delle opposizioni», il governo dimissionario «non potrebbe ricorrere alla questione di fiducia per garantire il rispetto dei termini costituzionali per la conversione».

E i decreti arriverebbero a scadenza (il 15 e il 20 agosto) senza essere convertiti in legge.

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