In tre anni ha sostenuto le persone in povertà, ma ha fallito del tutto uno degli obiettivi per i quali era nato: l'inserimento lavorativo. Per il reddito di cittadinanza, emerge da un report dell'Inps, si sono spesi 20 miliardi, ma il 70% di coloro che hanno iniziato a percepire il beneficio tra aprile del 2019 lo aveva ancora nell'ultimo semestre del 2021. Ciò significa che non è riuscito a reinserirsi nel mondo del lavoro ma ha avuto ancora bisogno del sussidio. Nel mezzo c'è stata la pandemia e un'economia in ginocchio. Sono state circa 4,6 milioni complessivamente le persone coinvolte dal reddito, circa 2 milioni di famiglie, per un importo medio erogato di 546 euro. «La persistenza - spiega l'Inps - sembra essere soprattutto legata alla nazionalità del richiedente, alla composizione del nucleo, all'area geografica di residenza, a indicatori economici».
Secondo i dati Inps nei 33 mesi analizzati ne hanno beneficiato minori e anziani, componenti di famiglie numerose e persone che vivono da sole. C'è chi ne ha beneficiato per un solo mese e chi per oltre due anni. Oltre il 40% dei nuclei beneficiari di reddito riceve anche l'integrazione economica per il canone di affitto, «un fatto importante, perché l'indisponibilità della casa di abitazione espone a un maggiore rischio di povertà». Il 44,7% dei nuclei beneficiari sono monocomponenti e che il 67,3% sono senza minori. I nuclei con disabili sono il 17% mentre sei nuclei su dieci hanno percepito più di 18 mensilità. Tra le famiglie che hanno iniziato a prendere il beneficio nel 2019 quelle che continuano a prenderlo sono prevalentemente al Sud e nelle Isole. A fine 2021 «quelli da più tempo presenti nella misura hanno caratteristiche più sfavorevoli rispetto ai nuclei di recente ingresso».
Il problema del reinserimento lavorativo secondo l'Inps è nei numeri: su 100 soggetti beneficiari del reddito, quelli «teoricamente occupabili» sono poco meno di 60. Di questi, 15 non sono mai stati occupati, 25 lo sono stati in passato, e meno di 20 hanno una posizione contributiva recente. L'Istituto parla di un debole attaccamento al mercato del lavoro da parte dei percettori che mostra «come la misura riguardi effettivamente chi è a rischio di esclusione sociale».
Sulla distribuzione del sussidio resta lo squilibrio tra Nord e Sud. Due percettori su tre risiedono al Sud o nelle Isole (il 62% dei nuclei, secondo dati di dicembre 2021). Secondo l'analisi pesano gli indicatori di disagio economico del Meridione come l'alto tasso di disoccupazione e la mancanza di servizi adeguati: «È dunque il contesto a spiegare una parte dei divari dell'incidenza. Da questo punto di vista, la misura appare essere un sostegno non solo per i nuclei familiari, ma anche per alcuni precisi contesti locali con indicatori di disagio economico particolarmente accentuati», scrive l'Inps.
Il problema è che il mercato del lavoro italiano «è pessimo» e porta a forme di occupazione «povera», dice la sottosegretaria al Mef, Maria Cecilia Guerra. «Dobbiamo puntare sulla qualità del lavoro», eliminare le cosiddette «forme atipiche» e sottopagate che non consentono di guadagnare «abbastanza per garantire una vita dignitosa».
Per il segretario generale della Uil, PierPaolo Bombardieri «negli ultimi tre anni, quindi ben prima della pandemia, su 24 milioni di contratti accesi, abbiamo avuto 4 milioni di contratti a tempo indeterminato e 20 milioni di contratti precari, part time, partite Iva, false cooperative. È lì che bisogna intervenire».
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