Flop, ritardi e ambiguità. Dai tamponi alla scuola Conte brancola nel buio

Il premier continua a rincorrere l'emergenza. Norme confuse. E fallimenti, come Immuni

Flop, ritardi e ambiguità. Dai tamponi alla scuola Conte brancola nel buio

L'Italia ha appena prorogato lo stato di emergenza, ma la confusione regna sovrana. La pandemia alle porte imporrebbe regole ferree, quasi da caserma, e invece sembra di stare nel Paese di Arlecchino. Il governo balbetta, fa avanti e indietro, concepisce l'eccezione e poi se la rimangia. Le regioni, come spesso succede, fanno del loro meglio per complicare una situazione scivolosa e che potrebbe sfuggire di mano come una saponetta.

Così l'esecutivo organizza in corsa di domenica un vertice per chiudere le discoteche appena aperte passando dalla serratura all'italiana e pure un pó ipocrita della deroga: il dpcm del 7 agosto blindava i locali da ballo, ma le regioni potevano capovolgere questo provvedimento, ora siamo al controribaltone. Davvero, si strepita perché la democrazia è a rischio nell'era dei dpcm, ma poi si va in ordine sparso, anzi nell'anarchia totale con ordinanze e contrordinanze che confondono le idee. Stesso caos sul fronte dei rientri dai Paesi a rischio. Ma Roma, almeno su questo, non poteva tenere fra le mani tremanti il boccino e prevedere? Forse, come ha suggerito il viceministro Pier Paolo Sileri, è arrivato il momento di svecchiare e rinnovare «con chi è in prima linea» il Comitato tecnico scientifico che insegue gli eventi, invece di anticiparli. Diranno che la colpa è del Governo e il Governo scaricherà sulle regioni, però siamo all'improvvisazione assoluta: c'è chi tornando da Spagna, Croazia o Grecia fa il tampone, chi si autodenuncia, chi vaga da un ufficio o da un telefono all'altro, chi si affida ai test rapidi che però sono introvabili e di dubbia affidabilità perché producono molti falsi positivi.

Il tampone dovrebbe essere fatto prima del viaggio verso casa, non dopo l'arrivo, immaginando una rete di laboratori accreditati per i test nei diversi paesi europei, con una reciprocità che favorisca i turisti italiani che vanno a Parigi, quelli francesi che visitano Roma e via di questo passo. Invece, ci si affida alla buona volontà: c'è chi va disciplinatamente in quarantena e chi sparisce dai radar. Lo Stato dovrebbe battere un colpo e non solo mettere cerotti su situazioni incredibili: a Treviso un piccolissimo focolaio fra i migranti accampati è diventato dopo due mesi di comportamenti contro la logica una polveriera con centinaia di casi. Parliamoci chiaro: non vogliamo essere apocalittici, ma oggi è difficile perfino mappare i focolai. Siamo sicuri di conoscere tutti i flussi di ingresso del virus? Sulle mascherine le regioni sono andate a briglia sciolta e anche su questo versante non è così facile orientarsi: ma non è plausibile che prima di togliersi o indossare la mascherina si debbano consultare le istruzioni, come la posologia di un medicinale.

E che fine ha fatto la mitica app Immuni? Scarico-non scarico, una sorta di imperativo è diventato un gioco di società. Risultato: la tracciabilità di un'eventuale catena del contagio si è trasformata in un optional. E lo strumento ha fatalmente perso la sua efficacia. Il Governo avrebbe dovuto imporre poche norme, limpide come l'acqua, ma siamo il Paese dell'arabesco, delle capriole, dei tornanti. L'ultimo curva è arrivata sulla strada che dovrebbe portare, incrociando le dita, otto milioni di ragazzi di nuovo a scuola fra un mese. Il comandamento del metro interpersonale è già saltato: il solito Comitato ha stabilito che lo studente si metterà la mascherina e con quella compagnia il metro potrà accorciarsi, lasciando il campo ai centimetri.

Intanto, su tutte le classi aleggiano i banchi mobili, opzione accreditata con ironia e sarcasmo da virologi ed esperti che li hanno già catalogati alla voce pagliacciata. Ma poi i banchi che camminano arriveranno in tempo o si paleseranno in autunno, comunque a lezioni già in corso, come è successo per i test rapidi a Malpensa? Si spera nel miracolo del vaccino per risolvere d'incanto i troppi problemi sul tappeto. Chissà quando sarà disponibile. Il premier peró si è sentito in dovere di dire già adesso, mesi e mesi prima, che il vaccino non sarà obbligatorio.

Certo, le dosi non basteranno, ma era proprio necessario lanciare quest'altro messaggio? Facile interpretarlo male, fra disinvoltura e disimpegno. Qualche volta sarebbe bene alzare la voce. In altre circostanze, invece, meglio tacere. Per non alimentare altri velenosi retroscena.

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