nostro inviato a Molino Silla
di Amelia (Terni)
Le note dell'alleluia, gli applausi, lo sventolio delle bandiere azzurre della Comunità Incontro. Una folla immensa. Perché nessuno dei suoi ragazzi è voluto mancare, magari viaggiando la notte, in auto, dall'estero. Loro, i «figli» di don Pierino, si siedono composti nel palazzetto di Molino Silla, più capiente della Cappellania di San Pietro Apostolo dove inizialmente erano state programmate le esequie, e si stringono nel dolore e nel ricordo. Complici dello stesso percorso di rinascita fisica e morale, di liberazione dal veleno della droga, sono venuti da tutta Italia per dare l'ultimo saluto al loro padre, all'uomo a cui semplicemente devono la vita.
Sono loro stessi i testimoni - in carne, ossa, lacrime e gratitudine - del passaggio terreno di don Gelmini, l'eredità visibile che sopravviverà, i ragazzi che hanno combattuto «la strega che ti ruba il corpo e l'anima», come recita un cartello all'interno della Comunità su cui è riportata una frase di Mogol. In tanti si abbracciano come fossero parenti, magari un po' impacciati nell'abito scuro e nella cravatta. Poi la celebrazione ha inizio. E sul pulpito sale il vescovo di Terni-Narni-Amelia, monsignor Giuseppe Piemontese, francescano, ex custode della Basilica di Assisi. Una presenza simbolicamente forte e non casuale di fronte alle tante polemiche che hanno accompagnato gli ultimi anni della vita di don Gelmini, e che rappresenta un chiaro segnale di ricomprensione nell'alveo della Chiesa. Piemontese è affiancato da monsignor Giovanni D'Ercole. Tra i celebranti c'è anche padre Eligio, fratello di don Gelmini. Padre Piemontese, riferendosi all'inchiesta che lo ha coinvolto parla di «salita dolorosa e umile». «Nessuno può giudicare perché l'unico giudice è Dio. Ha subito un calvario che lo ha portato alla spoliazione ma si è sacerdoti per sempre». E nel nome del Vangelo don Gelmini ha sempre applicato «la sua Cristoterapia».
In prima fila siedono Carlo Giovanardi, Amedeo Minghi, Alessandro Meluzzi, monsignor Hilarion Capucci. E poi Maurizio Gasparri, legato da una amicizia profonda al prete anti-droga. «Don Pierino è stato un gigante d'amore, ha strappato alla morte migliaia di vite con l'aiuto del Signore» dice. «Ha mobilitato energie enormi, scosso palazzi della politica troppe volte sordi, restituito una speranza a tante famiglie alle quali lo Stato non ha dato ascolto. Tanti giovani hanno creato famiglie nelle quali sono nati bambini che non esisterebbero se don Pierino non avesse strappato alla morte i loro genitori. Le ingiustizie patite non potranno mai cancellare un'opera che non finirà con lui, ma proseguirà attraverso l'impegno di quanti hanno agito al suo fianco». E questo impegno di continuità è proprio quello che si assume Giampaolo Nicolasi, uno dei «ragazzi» storici della Comunità, oggi tutti cinquantenni, pronti a varare una associazione che gestirà il futuro e celebrerà il 27 settembre la classica festa «Pane e Mortadella», con cui ogni anno si ricordano gli stentati inizi dell'avventura.
Al termine un lungo applauso accoglie il feretro all'uscita dal palazzetto, diversi i sacerdoti concelebranti che non riescono a trattenere le lacrime, come pure i tanti giovani, o i semplici «amerini», gli abitanti di Amelia, che come ricorda il sindaco Riccardo Maraga accolsero con diffidenza la nascita della Comunità e oggi la considerano il loro tesoro più importante. La sepoltura nel cimitero di Amelia sarà solo momentanea. Presto sarà costruito un mausoleo a lui dedicato dentro Molino Silla. «Vi ho amato tantissimo» l'epigrafe che, come richiesto da don Pierino, vi verrà impressa per sempre.
Don Gelmini
era un gigante dell'impegno e un uomo dalla forza straordinaria
La vicenda dolorosa degli anni è stato
un calvario
per don Pierino
Era un uomo di potere, il suo modo di fare aggressivo lo fece schierare col centrodestra
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