Ma il folle guerrafondaio non era Trump?

O Biden ha deciso di calare la maschera da signorino azzimato, o pensare a Putin e ai suoi sospetti tentativi di influenzare la campagna elettorale gli ha dato fuoco

Ma il folle guerrafondaio non era Trump?

I casi sono due, o Biden ha deciso di calare la maschera da signorino azzimato che aveva indossato sin dall'inizio della campagna per inaugurare l'era del ruggito, o pensare a Putin e ai suoi sospetti tentativi di influenzare la campagna elettorale gli ha dato fuoco. Prevedibilmente, definire il suo collega russo «un killer» ha causato una reazione furiosa, una crisi internazionale come non si vedeva da decenni, molto al di là della politica perché direttamente infissa nel cuore della moralità personale del leader della maggiore potenza mondiale. Già in passato, irritato dai rapporti con Trump e dai pasticci del figlio forse rivelati da fonti russe, Biden aveva dichiarato Putin «senz'anima».

Rimandiamo l'esame geopolitico della vicenda. È chiaro che la reazione sarebbe stata dura: «Questo è un attacco a tutta la Russia». Ma, scusate, Biden, non voleva dare un segnale di equilibrio al mondo intero, di ricerca di dialogo comunque e sempre, tanto da cercare addirittura un nuovo accordo con gli Ayatollah komeinisti iraniani? La verità è che quando si dà a qualcuno del killer a sangue freddo, chiunque sia il colpito, e a torto o a ragione, si avalla un'attitudine aggressiva del linguaggio della politica. Sulla scia del mansueto Biden adesso anche i peggiori lupi si sentiranno più autorizzati a urlare il proprio odio politico.

Le parole peggiori sono spesso degli uomini peggiori, anche se certo non sarà il caso di Biden. Lo sono state nel caso di Kim Jong Un: nel 2017 disse che l'azione era l'opzione migliore per trattare un rimbambito come Trump, con una minaccia identica a quella che Biden fa a Putin, cioè che «avrebbe pagato caro». Chavez nel settembre 2006 disse a Bush che quando c'era lui «si sentiva puzza di zolfo». Il presidente egiziano Mohamed Morsi nel gennaio 2013 dichiarò gli ebrei e Israele «figli di cani e scimmie»; «un cancro da sradicare» è l'epiteto che preferisce per Israele Nasrallah, capo degli hezbollah (dicembre 2010) e svariati leader iraniani fino a ieri, o «un cane selvaggio dell'Occidente» come disse il presidente Ahmadinejad nel dicembre 2010. Anche in Europa capita. L'indipendentista catalano Quin Torra ha scritto agli spagnoli come «bestie da carogne, vipere, iene, con una tara nel dna».

L'aggressione verbale, il linguaggio ringhioso c'è per tutti:

ma il presidente degli Stati Uniti dovrebbe pensarci un paio di volte, a meno che non sia un orribile guerrafondaio, molti dicono che le sue parole possono trasformarsi in una catastrofe... oh pardon, quello non era Trump?

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