Follia della burocrazia: lo Stato non può calcolare i costi della malagiustizia

Costa (Azione) chiede al Mise i dati sulle ingiuste detenzioni. La replica: impossibile

Follia della burocrazia: lo Stato non può calcolare i costi della malagiustizia

Spiacente, ma non si può. Il ministro dell'Economia Daniele Franco alza bandiera bianca: impossibile mandare alla Commissione giustizia della Camera tutte le ordinanze di ingiusta detenzione accumulatesi le une sulle altre nell'arco di un lustro, fra il 2015 e il 2020.

O meglio, si potrebbe pure fare, ma questo richiederebbe uno sforzo titanico e manderebbe gli uffici del ministero in tilt: i documenti sono tanti, tantissimi, solo in parte digitalizzati e sparpagliati qua e là.

Dunque, Franco dice no alla Commissione e in particolare a Enrico Costa, il deputato di Azione che conduce da tempo una battaglia su questo fronte incandescente.

Una risposta del genere potrebbe sembrare uno scherzo di pessimo gusto, certo non sembra all'altezza di uno dei Paesi più avanzati del pianeta, ma è inutile girarci intorno. E Franco, che tiene i cordoni della borsa ed è colui che paga e risarcisce le vittime di questi disastrosi errori, va dritto al punto: «In tale contesto, pur disponendo delle ordinanze integrali per coloro ai quali gli uffici competenti hanno effettuato i pagamenti, le stesse non sono detenute in una base dati strutturata, bensì classificate all'Interno dei singoli fascicoli di pagamento, solo in parte digitalizzati».

Insomma, il materiale in questione, a dirla tutta una densa pagina di vergogna nazionale, c'è ma è come se non ci fosse, dovrebbe essere recuperato e ordinato per metterlo a disposizione di Costa e degli altri deputati. «Per poterle trasmettere a codesta Commissione - prosegue la nota - occorre, come peraltro già rappresentato all'onorevole Costa nelle precedenti interlocuzioni, uno sforzo organizzativo e operativo che porterebbe a impegnare l'Ufficio competente per diverse settimane, in considerazione dell'elevato numero di ordinanze (circa 5.900)».

Un numero impressionante di errori riconosciuti dal nostro sistema giudiziario. Quasi seimila storie, più di mille l'anno, quasi tre al giorno.

Uomini e donne che sono rimasti in cella per qualche giorno, ma anche per settimane o mesi, magari con una condanna di primo o addirittura di secondo grado. A voler essere fiscali, restano fuori da questi conteggi gli errori giudiziari: il girone più buio e per fortuna meno popolato, quello in cui si entra solo con una sentenza di condanna definitiva e da cui si esce solo con un verdetto di revisione.

Ma, anche a voler mettere da parte gli errori veri e propri, la sostanza non cambia. Troppo lavoro e allora Franco alza le mani: «Ciò condurrebbe a convogliare le risorse umane impegnate nelle istruttorie e nei pagamenti degli indennizzi e, più in generale, per il normale funzionamento dell'ufficio, verso un'attività straordinaria rilevante e non programmata, che potrebbe determinare ritardi nell'erogazione degli indennizzi».

Il lavoro di catalogazione e di informazione potrebbe mandare in crisi la macchina organizzativa del ministero.

«Siamo davanti a una risposta stupefacente - spiega al Giornale Costa - che si fa fatica ad accettare». Poche risorse, al ministero fanno quello che possono.

Il Parlamento può attendere, anche se sarebbe di grande interesse conoscere nel dettaglio le vicende di chi è stato in cella per essere poi riconosciuto innocente.

Anzi, l'opinione pubblica è disorientata dal susseguirsi di arresti che poi evaporano nel nulla. Magari dopo anni e anni, con danni sul piano personale non più recuperabili.

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