Forte dei Marmi si arrende soltanto alla nostalgia

Resta il top, ma la clientela è molto cambiata

Forte dei Marmi si arrende soltanto alla nostalgia

nostro inviato a Viareggio (Lucca)

La colpa è degli intellettuali. Mario Tobino, Enrico Pea, Manlio Cancogni e, qualche chilometro più in là, Carlo Cassola hanno trasfigurato la Versilia in un luogo che non esiste, un rifugio del pensiero, un ricetto per imprese mitiche. A tutto questo si sono aggiunte le varie agiografie di Casa Agnelli, lo Sturm und Drang di Villa Costanza che oggi altro non è che l'Hotel Augustus del Forte.

E così tutti si dimenticano che la Versilia è una creazione del Duce. E questa non è apologia del fascismo, ma la verità. La grandeur mussoliniana ha sottratto questa terra alle paludi, così come fece con l'Agro Pontino, e ne ha fatto una Roma Imperiale fra virgolette. Aver «esportato» Casa Savoia fra Viareggio e il Forte ha fatto sì che l'intendenza seguisse. E così anche nel Dopoguerra quando all'alta borghesia e ai gerarchi si è sostituita l' intellighenzija e la finanza. Ai D'Annunzio e ai Pirandello sono subentrati i Pesenti e i Moratti, sempre un viale dietro la famiglia Agnelli. Oggi ci sono i russi e gli arabi e non si riesce più a ritrovare il filo del discorso.

«È che oggi il Forte è meno riconoscibile, è tutto cambiato, è tutto a misura della nuova clientela, le priorità sono diventate altre», racconta la signora Raffaella memoria storica del Bagno Giovanni. «È vero - la fa eco la signora Franca, milanese - perché, insomma io Gucci e Prada ce li ho sotto casa: mi mancano i negozi di zoccoli di una volta, per un prendisole devo andare dalla sarta». Calciatori, veline, vip qui sono sempre stati di casa: fanno parte dell'«arredo urbano». Il fatto è che anche la Versilia ha la tendenza tutta italiana a guardarsi un po' indietro, a rimpiangere. Persino le bizze di Stefania Sandrelli, viareggina doc costretta a «spostarsi» al Forte per le esigenze dei set cinematografici, lei che dalla Pineta non s'era mai voluta muovere. È tutto un rammemorare a volte, un rimpiangere.

«Beh, chi se la può dimenticare la Bussola quando cantava Mina?», ci dice Marco, viareggino anche lui, che, invece, lamenta come ormai la Versilia si sia frammentata, segmentata a seconda del mercato. «Forte è il top e poi via via a calare verso Torre del Lago». Che qui, un po' tutti guardano di sottecchi, essendo diventata la San Francisco (o la Mykonos) italiana. Una spiaggia molto gay friendly che ha nella discoteca «Mama Mia» il suo punto di riferimento. Forse sarebbe meglio dire che la Versilia non esiste, che è solo un pezzo di Svizzera con tanto di Alpi (quelle Apuane però) a cui hanno attaccato il mare. Ci si ritroverebbe di più, nel suo ordine, nel suo lusso, nelle sue Lamborghini. E anche nelle feste in villa (con piscina, ovviamente) di qualche russo parvenu che a tarda notte disturba la pubblica quiete. E nelle burle di qualche piccolo moscovita tra le cabine. Forse sarebbe meglio che attaccarsi al passato. Ieri alla Capannina c'era Jerry Calà a ripercorre la storia di «Sapore di Mare» dei Vanzina, qualche metro più in là al Twiga Umberto Smaila riporta qui un pizzico Costa Smeralda. Fra un paio di settimane arriva Bob Sinclar che non è Mina. Ma è contemporaneo. Se qualcuno vuole immergersi nella cultura c'è la Versiliana a Pietrasanta.

Sembra distante, ma sono solo pochi passi a piedi o in bicicletta. Qui non c'è soluzione di continuità tra un luogo e l'altro. Forse è per questo motivo che il passato si ripresenta sottoforma di Suni Agnelli vestita alla marinara.

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