A Palazzo Chigi grideranno ancora una volta al complotto, unico refrain che la maggioranza gialloverde ci propone un giorno sì e l'altro pure nel tentativo di respingere l'assalto di chissà quali poteri oscuri. Invece più passano le settimane e più è la forza dei numeri a mettere sotto assedio la cosiddetta «manovra del popolo», quella che - giurava Di Maio a settembre - «cancellerà la povertà».
Eppure i giovamenti di questa legge di bilancio non gli riesce a cogliere nessuno. Passi per Bruxelles e gli euroburocratici dell'Ue che, lo sappiamo, sono brutti e cattivi, l'Italia l'han presa di mira e pure Di Maio e Salvini non li hanno mai avuti in simpatia. Insomma, che la troika ci remi contro - per usare concetti cari a Lega e M5s - non è un segreto ed anzi è la ragione per insistere con una manovra all'attacco. Epperò è qualche settimana che, giorno dopo giorno, spuntano come funghi dopo la pioggia gli scettici di questa prima legge di bilancio gialloverde. Il Quirinale primo fra tutti, anche se Sergio Mattarella ci ha tenuto a tenere un profilo rispettoso del bon ton istituzionale ed ha evitato prese di distanza rumorose. Poi sono arrivati i dubbi di Confindustria, secondo la quale manca una copertura «credibile» delle voci più impegnative, con un doppio rischio: che ex post il rapporto deficit/Pil sia più alto del 2,4% e che per sostenere le misure di welfare previste si debbano in futuro aumentare le tasse. In allarme, inultile dirlo, anche Bankitalia, che ha fatto i conti di quanto ci è costato l'allarme spread in questi ultimi sei mesi: abbiamo bruciato 1,5 miliardi di euro.
Finita qui? No, perché ieri ci si è messa l'Istat a contestare le previsioni di crescita del governo. Per centrare l'obiettivo del Pil 2018, fanno sapere dall'istituto di statistica, serve una crescita a +0,4% nel quarto trimestre mentre i dati indicano un probabile rallentamento. Ma chissà, magari anche loro sono succubi di Bruxelles oppure eterodiretti dalla troika. Come pure l'Ufficio parlamentare di bilancio, che sempre ieri ha confermato i dubbi dell'Istat sui saldi del governo ipotizzando per il 2019 un rapporto deficit/Pil al 2,6%. Sempre l'Upb, peraltro, mette seriamente in discussione la fattibilità della mitica «quota 100». Non solo gli assegni saranno ridotti dal 5 al 30%, ma la riforma costerà non i 7 miliardi previsti dal governo ma addirittura 13. Sul condono, invece, è la Corte dei Conti a dire che esistono «perplessità di ordine costituzionale» per come è formulata la norma.
Insomma, un vero e proprio disastro. E a dire, se ne facciano una ragiona a Palazzo Chigi, non è solo la Commissione Ue. Anzi.
È la forza dei numeri che sta inesorabilmente accerchiando una manovra che non convince proprio nessuno. Neanche la Cei. «Se si sbagliano i conti non c'è una banca di riserva che ci salverà», avvertiva ieri il presidente dei vescovi italiani Bassetti. Saranno mica tutti amici di Junker?
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