Sinistri scricchiolii già martedì sera e alla fine della mattinata di ieri il patto del Nazareno risulta «rotto, congelato, finito», come dice Giovanni Toti. Dopo l' affaire Quirinale , i vertici di Forza Italia riesaminano l'accordo tra il leader Silvio Berlusconi e il premier Matteo Renzi e ne decretano, non senza travaglio, la morte. Colpa del metodo «inaccettabile» seguito dal capo del governo, con una «scelta unilaterale» del candidato alla presidenza della Repubblica, scrive in un documento il comitato di presidenza ristretto degli azzurri. Da ora in poi, fa sapere Fi, «voteremo solo ciò che riterremo condivisibile per il bene del Paese, senza pregiudizi», valutando «di volta in volta, senza alcun vincolo politico derivante dagli accordi che hanno fin qui guidato un percorso comune e condiviso».
La prima reazione del Pd è bruciante. «Se il patto del Nazareno è finito, meglio così. La strada delle riforme sarà più semplice. Arrivare al 2018 senza Brunetta e Berlusconi per noi è molto meglio», dice il vicepresidente Debora Serracchiani. Ed è un coro, da Cuperlo a Fassina, dalla Bonafè a Lotti.
Tutto avviene in una giornata convulsa, in cui arriva la resa dei conti da tempo nell'aria. A nulla sono serviti, il giorno prima, gli incontri di Berlusconi con il custode del patto Denis Verdini, sempre più sotto accusa dopo l'elezione di Sergio Mattarella al Quirinale e con il capo della fronda interna Raffaele Fitto, sempre più deciso a far tabula rasa nella direzione del partito. Nessuno dei due smorza le posizioni, gli altri si dividono in fazioni e un cambio di rotta appare ormai inevitabile.
Proprio per andare incontro alle osservazioni di Fitto, il Cavaliere riunisce a Palazzo Grazioli il gruppo ristretto di una trentina di dirigenti di Fi per dare un segnale, dopo essersi consultato con i fedelissimi, da Giovanni Toti a Mariarosaria Rossi. Viene convocata e poi spostata a mercoledì anche l'assemblea dei gruppi, ma alcuni «fittiani» non vorrebbero partecipare. Contemporaneamente, con un atto di estrema provocazione, l'ex ministro pugliese alza il tiro in una conferenza stampa alla Camera: definisce «illegittimo», senza «valenza politica» il comitato che ha disertato e reclama la testa dei big per gli ultimi «errori clamorosi».
I capigruppo di Camera e Senato Renato Brunetta e Paolo Romani, i vice e gli altri dirigenti presentano intanto le dimissioni a Berlusconi. Lui le respinge, confermando a tutti la fiducia. Berlusconi è irritato con Fitto, si «rammarica» per la sua iniziativa. «Così, non si va da nessuna parte», commenta. Ma al partito diviso cerca di iniettare fiducia: «Sono intimamente convinto che Fi possa tornare maggioranza, recuperando il 50 per cento che non è andato a votare, almeno una parte di quei 24 milioni di italiani».
Sul tavolo, c'è il documento di messa in mora del patto del Nazareno. Ma se l'accordo salta, che fine fa il garante con Renzi e cioè Verdini, cui si imputa il fallimento dell'operazione Quirinale? «In Fi - assicura Toti - nessuno è in discussione, né Verdini né altri. Non facciamo processi sommari, ma le condizioni generali sono cambiate». Eppure, proprio lui aveva detto che, si sa, il Nazareno muore e dopo tre giorni risorge. E ora Fitto cita San Tommaso: «Finché non vedo non credo». Per i suoi le dimissioni dei big sono un «teatrino».
Se muore il patto, il pacchetto riforme non sta tanto bene. «Noi andiamo avanti - dice il ministro Maria Elena Boschi -. Se ci ripensano, siamo qui». Ma gli azzurri già preparano l'ostruzionismo e i primi problemi con il Pd si vedono alla Camera. Lavori a singhiozzo nelle commissioni Affari costituzionali e Bilancio sul decreto Milleproroghe, per l'opposizione di Fi. Difficoltà alla conferenza dei capigruppo, sul calendario delle riforme per la prossima settimana.
di Anna Maria Greco
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