A nche se in America qualcuno pensava con molta leggerezza il contrario, in politica internazionale i vuoti non restano mai tali: vengono sempre colmati da qualcuno. In Afghanistan, lo spazio lasciato libero dagli Stati Uniti si appresta a essere occupato dalla Cina, e non è solo una questione geopolitica: pesa, moltissimo, anche l'economia. Xi Jinping si è mosso con anticipo, e ha fatto con i talebani un vero e proprio patto con il diavolo: siamo pronti a riconoscere e a sostenere un vostro governo a Kabul in cambio non solo del vostro impegno a non appoggiare ribellioni islamiche nello Xinjiang, ma anche a inserirvi nel nostro sistema di scambi commerciali.
La «tomba degli imperi» è una delle economie più povere del mondo, ma ha molto da offrire ai cinesi. Soprattutto da un punto di vista minerario, le sue ricchezze sono ingenti, tanto che già prima della presa di Kabul queste contribuivano per circa un quarto per lo più grazie a un sistema di taglieggiamenti - al bilancio dei talebani. In Afghanistan sono presenti rame, ferro, cobalto, oro e pietre preziose ma al di sopra di tutto questo, il Paese appena tornato nelle mani degli estremisti islamici dispone di colossali giacimenti (si stima un totale prossimo al milione e mezzo di tonnellate) delle cosiddette terre rare. Minerali come il litio, che sono l'oggetto della cupidigia delle multinazionali delle nuove tecnologie perché sono indispensabili per far funzionare fra l'altro - batterie, telefoni cellulari, motori ibridi e quasi tutte le moderne strumentazioni militari.
Sembra incredibile che Biden, nella sua ansia di concedere all'elettore americano la fine dell'impegno militare Usa in Afghanistan, abbia sottovalutato il fatto che su questo forziere da tre trilioni di dollari metterà le mani proprio il principale avversario degli Stati Uniti, che già oggi dispone di una preoccupante ampia superiorità in un settore che in prospettiva è più strategico di quello del petrolio. Secondo alcuni studi, in America contano di sviluppare d'intesa con i giapponesi una propria tecnologia alternativa a quella che prevede l'impiego esclusivo di minerali come il litio, ma resta il fatto che la Cina troverà in Afghanistan un vero tesoro: i talebani si sarebbero impegnati a fornire a Pechino terre rare per un trilione di dollari, ed è legittimo chiedersi che uso vorranno farne.
Ma non finisce qui. Il disegno di Xi prevede l'inserimento dell'Afghanistan talebanizzato nella propria rete commerciale mondiale «Belt and Road Initiative» (Bri), meglio conosciuta come Via della Seta. Pechino, già da tempo d'accordo con il Pakistan per la realizzazione di un corridoio stradale che collega la Cina con il porto di Gwadar sull'Oceano Indiano, intenderebbe aprire un ulteriore strategico passaggio in territorio afgano, sfruttando il breve (76 km) confine che i due Paesi hanno in comune sull'Himalaya.
Verrebbero realizzati dai cinesi un'autostrada e probabilmente una ferrovia, e secondo un meccanismo ampiamente collaudato in diversi Paesi anche europei (vedi il Montenegro) le difficoltà degli Stati beneficati a ripagare il debito così generato si trasformerebbero in impegni a legami sempre più stretti con la Cina rossa: un tassello dopo l'altro nella decostruzione dell'egemonia americana nel mondo.
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