"La Francia vuole farne una pietra miliare. Ma nessuno ci restituirà le persone amate"

La mamma di Valeria Solesin, vittima italiana: "Non temo i terroristi"

"La Francia vuole farne una pietra miliare. Ma nessuno ci restituirà le persone amate"

Ieri a Parigi è iniziato il processo per il massacro del Bataclan. Il più grande processo francese dal dopoguerra: 20 imputati, 330 avvocati, 1.800 persone costituite parte civile. Era la notte del 13 novembre 2015. In corso quella sera c'era un concerto del gruppo americano Eagles of Death Metal. I terroristi fecero irruzione e iniziarono a sparare sul pubblico. Il bilancio sarà tragico: 131 morti, oltre 400 feriti. Tra le vittime c'è la veneziana Valeria Solesin, 28 anni, che stava seguendo un dottorato alla Sorbona. L'immagine di lei, il volto così dolce col maglioncino al collo, ha fatto il giro del mondo. La mamma di Valeria, Luciana Milani, in questi giorni è a Venezia, ma prossimamente volerà a Parigi.

Nove mesi di udienze serrate davanti a cinque magistrati, dal lunedì al venerdì. Cosa si aspetta?

«Un chiarimento delle circostanze dell'accaduto, che vengano appurati alcuni fatti attraverso il dibattimento e vengano stabilite delle responsabilità. Sarà un processo di notevoli dimensioni, il governo francese ne vuol fare una pietra miliare. Anche solo per la sede costruita appositamente, da noi fanno le aule bunker in periferia, qui è nel pieno centro di Parigi, dove c'è il Palazzo di Giustizia all'Ile de la Cité».

Lei ci è stata?

«Non ancora».

Quanto è importante che chi abbia causato il massacro paghi?

«Ha un'importanza relativa. Non c'è niente che possa riparare 130 vite. Sono due binari che non si incontrano. Da una parte ci sono le vite delle persone e dall'altra un procedimento che per quanto giusto, non restituirà le persone. Una macchina può essere riparata, la vita degli umani no».

Sono passati sei anni. Il processo non poteva iniziare prima?

«Una quota di ritardo è dovuta al Covid. Ma è un lavoro di ampio spettro. Gli imputati non sono tutti francesi, non sono tutti belgi. Già che sia stabilito quando inizia e finisce mi ha colpito. Da noi non si sa quando finisce un processo. Ma non vorrei essere ingiusta con l'Italia».

Ha detto che ha massimo disprezzo dei terroristi.

«Esattamente. Non li temo. Su questo non c'è dubbio».

Oggi vediamo ciò che accade in Afghanistan, come vive tutto questo a proposito di terrorismo?

«Per vivere una cosa bisognerebbe capirla e non mi è facile. Sapere che i talebani sono nemici dell'Isis mi crea un certo sconcerto. È tutto uno spettro di cose per noi incomprensibili. Ognuna di queste fazioni rappresenta interessi a noi non capibili. Io ho lavorato tanti anni in un Cpia (centri provinciali istruzione adulti). Nel 2007-2009 avevamo una maggioranza di afghani. Capivi subito chi apparteneva a una etnia o a un'altra. Imparavi che il pashtun tende a fare il capetto. Mi colpisce molto il destino di queste persone».

Quello al Bataclan fu un attacco alla nostra civiltà?

«Esattamente. L'ho detto più e più volte».

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