«L'Italia non è ripartita ma dopo anni di ubriacature da soluzioni tecniche e tecnocratiche è il momento che la politica torni a fare il proprio mestiere». Dalla Fiera del Levante di Bari, che ieri pomeriggio è andato ad inaugurare, Matteo Renzi rilancia il suo mantra: il diritto-dovere della politica di decidere e scegliere, il primato della politica e delle sue riforme rispetto ai tecnici e ai tanti portatori di interessi particolari, dai burocrati ai magistrati ai sindacati.
Fino ai bellicosi amministratori e sindaci pugliesi, appoggiati dal presidente della Regione Nichi Vendola, che ieri sono andati da lui in delegazione a protestare contro il via libera del governo al Tap, il gasdotto che dall'Arzerbaijan arriverà sulle coste del Salento dopo aver attraversato Albania, Grecia e Mare Adriatico. E che il premier ha liquidato con brusco piglio decisionista: «Non è pensabile che l'Italia blocchi il Tap, siamo pronti a discutere sempre ma il diritto di veto degli amministratori è meno forte del diritto di voto dei cittadini», quelli che hanno investito sul suo governo. Con buona pace della contrarietà di Vendola, che - seduto a fianco di Renzi alla Fiera del Levante - twitta: «Non è la sindrome Nimby che spinge il Salento a difendere sito di pregio naturalistico ma un giudizio scientifico».
Nel suo tour della Puglia, dal Gargano ferito dall'alluvione alla Taranto dell'Ilva Renzi è stato inseguito da molte richieste di intervento del governo, e anche da qualche contestazione. Rumorose ma sparute, sottolinea il suo staff mettendo online le foto delle poche decine di manifestanti con striscioni M5S.
Dalla Puglia, il premier ribalta anche le accuse di «annuncite»: è il suo governo che sta tentando di fare quel che viene rimandato da decenni: «Sono vent'anni», ricorda, «che promettiamo di cambiare e continuiamo a rimandare, malati di riformite». Ora, assicura, la situazione è diversa grazie a «due novità»: l'Italia ha «un allenatore» che ha «non molla di un centimetro». E c'è «la gente che fa il tifo», come dimostrano i risultati elettorali. E se la prende coi «professionisti della tartina» che criticano le riforme avviate: «Superare finalmente il bicameralismo perfetto non è una forzatura della democrazia, ma è riduzione del ceto politico e semplificazione dell'iter legislativo». Gli Usa, ricorda tra gli applausi, hanno «la metà dei nostri parlamentari». Né è «devastante» una legge elettorale «che dice subito chi ha vinto». Sulla giustizia, «non mi interessa il derby ideologico del passato, voglio solo che l'Italia abbia gli stessi tempi di Germania o Francia». Quanto alla riforma del lavoro, Renzi rinfaccia ai sindacati la «profonda iniquità di un sistema in cui il dipendente ha tutti i diritti, i precari o le partite Iva nessuno». Grazie alle attuali regole, manda a dire alla Camusso, «il mondo del lavoro è il luogo dove è più forte la diseguaglianza». Ma il leader della Cisl Bonanni risponde a muso duro: «Basta con i palloni gonfiati che promettono posti di lavoro».
Dall'Ecofin di Milano arrivano le punzecchiature del neo vice-presidente della Commissione Ue Katainen sugli «ambiziosi» programmi di riforme che però vanno «anche attuati». La replica del premier: l'Italia è «tra i pochi Paesi che rispettano il parametro del 3%». E alla Ue «dà molti più soldi di quelli che riceviamo».
L'Italia «rispetta i patti», assicura Renzi, ma «bisogna che anche gli altri si ricordino che quel patto si chiama di crescita, oltre che di stabilità», e che Junker è presidente «anche perché ha promesso 300 miliardi» che ora dovrà tirare fuori. «Basta piagnistei, dobbiamo farci valere», anche con i partner Ue.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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