di Livio Caputo
A meno di una settimana dal referendum, lo scontro tra chi vuole che il Regno Unito resti nella Ue e chi vuole uscirne ha cessato di essere un razionale dibattito politico e si è trasformato in una battaglia senza esclusione di colpi, in cui la verità non si distingue più dalla menzogna, in cui le contraddizioni dei due partiti contrapposti vengono dimenticate, in cui chi le spara più grosse trova più spazio sui media e in cui spesso le passioni prevalgono sugli interessi. «È un voto di testa contro un voto di pancia», ha scritto il Financial Times. Ma è anche uno scontro tra coloro che, un tempo, quando la nebbia incombeva sulla Manica, dicevano che «il continente è isolato» e chi invece ha afferrato i vantaggi dell'appartenenza a una organizzazione senz'altro piena di difetti, ma che alla Gran Bretagna ha portato anche molti benefici. Sotto molti rispetti, è anche uno scontro tra le grandi città (in prevalenza favorevoli al Remain) e la provincia, uno scontro tra le generazioni rimaste attaccate ai valori e alle tradizioni britanniche e quelle che sono cresciute nell'era della globalizzazione. Ciascuno dei due partiti ha il suo cavallo di battaglia, i pericoli dell'immigrazione il Brexit, i danni all'economia il Remain, anche se spesso gli argomenti tendono a intrecciarsi incongruamente tra loro.
Ho vissuto a Londra negli anni in cui gli inglesi in ritardo rispetto ai fondatori - avevano fatto domanda di entrare nella Comunità, furono dapprima respinti da De Gaulle e riuscirono poi nell'intento, e ricordo che anche allora ci fu un appassionato dibattito tra il sì e il no. Proverò perciò a riassumere le ragioni dei due schieramenti attraverso un dialogo immaginario tra un padre, ex funzionario che ora vive in pensione nel Devonshire, e il figlio che ha fatto carriera in una grande banca.
Padre: «Che senso ha restare nell'Unione? Ci costa 10 miliardi di sterline l'anno e in cambio otteniamo da burocrati stranieri e superpagati leggi e regolamenti che non vogliamo e per cui non abbiamo votato. È un insopportabile furto di sovranità. In più, nel solo 2015 abbiamo dovuto accogliere e accudire senza poter esercitare alcun controllo - 330mila cittadini comunitari che stanno costando una fortuna ai nostri servizi sociali e portano via il lavoro agli inglesi. Per giunta, la perdita del controllo delle nostre frontiere sta agevolando l'ingresso di nuovi terroristi».
Figlio: «Non tieni conto che, in un regime di quasi piena occupazione, questi immigranti europei ci sono indispensabili per molti lavori e che le tasse che pagano sono superiori ai benefici sociali che ricevono. Quanto agli extracomunitari, non avendo aderito a Schengen, li possiamo selezionare anche restando in una Unione incapace di difendere le sue frontiere esterne. Comunque, in gran parte abbiamo integrato anche loro: non per nulla Londra è la prima città europea ad aver eletto un sindaco musulmano».
Padre: «Ma è proprio questo che rifiuto. La Gran Bretagna deve rimanere la Gran Bretagna, con le sue tradizioni e la sua indipendenza, non un melting pot. E poi, noi restiamo un'isola, non siano mai stati veramente europei e meno che meno abbiamo voglia di rimanere in una Unione sempre più dominata da un Paese contro cui abbiamo combattuto due sanguinose guerre. Ci sarà pure una ragione per cui, al contrario di altri Paesi, non esponiamo mai la bandiera europea con l'Union Jack. Ha ragione Boris Johnson quando dice che, in fondo, la Ue vuole realizzare con altri mezzi il sogno di Hitler».
Figlio: «Non possiamo continuare a vivere nel passato. L'appartenenza alla Ue ci ha portato senza rinunciare alla sterlina, restando fuori da Schengen e ottenendo, grazie alla Thatcher e a Cameron, varie esenzioni - grandissimi benefici. Se ne usciamo, ci troveremmo in una situazione impossibile, con tutti gli accordi commerciali da rinegoziare. Si prevede la perdita di un milione di posti di lavoro, una caduta del Pil che potrebbe arrivare al 6% e una perdita del potere di acquisto di circa 4.000 sterline per famiglia entro il 2030. La sterlina ha già cominciato a soffrire. Le vacanze ci costeranno di più. E, se Londra non fosse più la capitale finanziaria d'Europa, e banche e aziende cominciassero a emigrare, io non avrei il posto che ho».
Padre: «Tutte balle. Cercano solo di spaventarci. E poi, con che faccia si sono schierati per il Remain personaggi come Cameron o Gordon Brown che sono sempre stati euroscettici, hanno osteggiato l'integrazione della Ue e continuato a chiedere opt-out?»
Figlio: «Ma che senso ha tornare a una little Britain, quando una buona parte delle nostre attività e molte
proprietà immobiliari sono già in mano agli stranieri, arabi e russi, indiani e thailandesi, cinesi ed europei?»A questo, forse, il padre non ha saputo che cosa obbiettare. Ma quasi certamente, voterà lo stesso per il Brexit.
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