Coronavirus

La frenata dell'Ema sui vaccini divide (nuovamente) i virologi

Il via libera all'obbligo non prima del 2023. Pregliasco: "Rischio caos". Palù: "La responsabilità tocca ai politici"

La frenata dell'Ema sui vaccini divide (nuovamente) i virologi

«L'autorizzazione condizionata rischia di creare confusione e disaffezione verso i vaccini. Ema chiarisca al più presto cosa manca per arrivare ad una valutazione completa e definitiva di Pfizer».

Fabrizio Pregliasco, virologo che mastica la delicata materia vaccinale da decenni, chiede più coraggio nelle determinazioni finali all'Agenzia europea del farmaco. E proprio nell'Ema, in queste ore, stanno valutando se intervenire su questo delicato aspetto che riguarda in primis Pfizer. Gli esperti, infatti, si sentono tirati in ballo per la ventilata necessità dell'obbligatorietà dei vaccini che circola nell'esecutivo e confermata dal premier Mario Draghi in conferenza stampa. E in molti hanno invocato un «prima però dev'esserci il via libera dell'Ema».

Di fatto, questa autorizzazione è stata concessa già un anno fa all'uso di quattro vaccini, Pfizer compreso. Autorizzazione, che, come anticipato da Il Giornale, è comunque «condizionata». In pratica, il placet finale sarà formalmente dato solo a fine della sperimentazione clinica di Pfizer nel 2023. Una data lontanissima. Però, sostengono in Ema, dopo aver adeguatamente accertato rischi e i benefici, il farmaco lo abbiamo già approvato, sia pure in modo condizionato. Quindi se uno Stato vuole renderlo obbligatorio, si accomodi pure. Legalmente non ci sono impedimenti, non ci sono problemi legati alla sicurezza o all'efficacia del prodotto.

Ma il virologo Fabrizio Pregliasco, non condivide l'ambiguità della decisione. «La scadenza del 2023 per la fine della sperimentazione fissata da Pfizer è troppo diluita nel tempo. È vero che ci vuole del tempo per seguire il percorso di un farmaco, ma c'è un'attenzione spasmodica a tutti gli elementi del vaccino che sono in contrasto con quanto succede nella vita reale». E per il virologo, «un'approvazione condizionata, anche se riguarda solo dati formali e burocratici, potrebbe favorire un clima di incertezza, di preoccupazione, di disaffezione verso la vaccinazione». Ed è per questo che bisogna non lasciare dubbi a chi potrebbe cavalcare una protesta a sfondo legale. «Ema dev'essere trasparente al massimo livello, deve raccontare quello che si è fatto ma soprattutto quello che manca per arrivare a formalizzare un'approvazione piena. Altrimenti il loro linguaggio, poco immediato, si presta a contestazioni e a cavilli da azzeccagarbugli di manzoniana memoria».

Dunque, chiarezza e velocità anche perché il vaccino che interessa gli italiani, è stato già testato in milioni di persone in tutto il mondo. «Per difendersi contro il Covid si è preso un percorso veloce ma non frettoloso per garantire efficacia e sicurezza del vaccino da parte di Ema che quindi esula dal rituale più lungo che presenta la fine della fase tre conclude l'esperto - In via generale è un'ottica giusta quella di sedimentare i dati, consolidare il percorso di un farmaco. Ma ci sono molti aspetti burocratici che si possono ovviare. Il vaccino è stato largamente sperimentato nella vita reale e questo deve bastare per sgombrare ogni dubbio».

Diversa la posizione di Guido Rasi, ex direttore Ema, che sostiene non ci siano ostacoli da superare: «Anche se resta il sì condizionato a una serie di studi fino al 2023, l'autorizzazione europea non impedisce al governo di mettere l'obbligo vaccinale per tutti, così come ha già fatto per alcune categorie».

Secondo Giorgio Palù presidente Aifa, invece, per l'obbligo vaccinale serve una legge dello Stato: «Sta alla politica adesso assumersi la responsabilità».

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