Frode fiscale, chiesti tre anni di carcere per l'ex compagno della Santanchè

A Mazzaro contestata la vendita di uno yacht. La ministra è già stata archiviata

Frode fiscale, chiesti tre anni di carcere per l'ex compagno della Santanchè
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Giovanni Canio Mazzaro avrebbe venduto lo yacht Unica con lo scopo di «fare sparire l'unico bene aggredibile e il suo provento». Ed ecco che quando «la barca sparisce, spariscono anche i soldi, frustrando definitivamente ogni pretesa del Fisco».

È di tre anni di carcere, con anche la confisca di quasi 393 mila euro, la richiesta della Procura di Milano per l'ex compagno della ministra del Turismo Daniela Santanché, imputato davanti alla seconda sezione del Tribunale di Milano, giudice monocratico Emanuele Mancini. Vicenda per la quale la senatrice di Fratelli d'Italia è stata indagata e archiviata con un provvedimento della gip Angela Minerva a gennaio scorso, con la motivazione che non avrebbe avuto «alcun ruolo attivo» nell'acquisto e nella successiva compravendita dello yacht.

Stando all'inchiesta del pm Paolo Filippini, Mazzaro, a processo per sottrazione fraudolenta di beni e dichiarazione infedele dei redditi, con l'obiettivo di sottrarre all'Agenzia delle entrate, avrebbe venduto la barca Unica a una società di Malta, la Flyingfish Yachting Ltd, interponendo la società Biofood Italia srl di cui Santanché era all'epoca presidente e legale rappresentante.

A firmare gli atti della compravendita, sarebbe stata proprio l'ex compagna.

La tesi dell'accusa è che Mazzaro abbia fatto confluire tutti i suoi compensi alla società M Consulting, al 99 per cento di proprietà della madre: una società «schermo» costruita ad hoc, nonché una sorta di «cassaforte personale» per evitare di dichiarare redditi e spese da privato cittadino. Tra queste, stando alla tesi accusatoria, segnaposti in argento, tre tappeti, vestiti di sartoria indicati come divise da lavoro, cure dentali e l'uso di una Ferrari. Avrebbe anche fatto confluire «le retribuzioni e gli emolumenti percepiti in relazione a cariche sociali e prestazioni professionali e manageriali», percepiti all'epoca in cui era presidente della società Pierrel. «Il modus operandi di Mazzaro - è in sostanza la tesi del pm Paolo Filippini, spiegata nella requisitoria di ieri - è creare scatole cinesi, scaricando così le sue spese e non pagare le tasse».

L'avvocato Matteo Mangia, nel chiedere l'assoluzione con la formula «perché il fatto non sussiste» per l'imprenditore 65enne, ha sottolineato che «se noi diamo una lettura complessiva delle fatture, non ce n'è una che porta a dire che questi beni siano andati sicuramente a Mazzaro, quindi manca il reato presupposto dall'accusa». E ha sottolineato che l'Agenzia delle Entrate ha analizzato solo 9 fatture che sommate hanno un valore di 36 mila euro.

«Anche se fossero riferibili a lui, siamo sotto la punibilità della tassa evasa».

Sempre secondo il difensore, la vendita della barca non è stata «simulata, le trattative erano iniziate tre anni prima dell'arrivo delle cartelle esattoriali». La sentenza, dopo le repliche, è attesa per il 12 giugno.

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