Roma - «Ehi, Pier Luigi, ti vieni a prendere un cappuccino con me alla buvette?», grida Matteo Renzi a Bersani, che attraversa il Transatlantico semideserto a Montecitorio. «Vengo volentieri, ma il cappuccino te lo bevi tu». E i due si incamminano, non sottobraccio ma quasi. Sono le 10 di sera, alla Camera ci sono solo i (tanti) deputati Pd e quelli di Ncd e Scelta civica, pronti all'ultima maratona notturna per votare la riforma costituzionale. Le opposizioni, da Fi ai grillini passando per Sel, se ne sono andate sdegnate. Il premier torna a Montecitorio per incitare la maggioranza ad andare avanti a passo di carica e per l'ennesima assemblea coi suoi. «Sono stato talmente diplomatico da sembrare praticamente doroteo» confida, e l'invito al bar rivolto a Bersani è il plastico suggello sulla (momentanea) pax interna. Il premier scambia battute su Sanremo con Gianni Cuperlo, poi si mette sull'uscio dell'emiciclo e mentre dentro si inizia a votare chiama a gran voce i ritardatari: «Luca Lotti, entri in aula, cazzo!», dice facendo il verso al comandante De Falco con Schettino. Stavolta niente battibecchi e duelli verbali con i berlusconiani, peraltro assenti. Anzi, mormora Renzi scuotendo la testa, «spero che Berlusconi capisca che se va avanti così fa la cavolata del secolo, e ci ripensi».
La tensione, nel gruppo Pd, era alta. I due avanguardisti Civati e Fassina, nel pomeriggio, avevano annunciato che se ne andavano dall'aula per non votare la riforma «a colpi di maggioranza», spiazzando più la sinistra Pd che i renziani, che dei voti dei due fanno a meno da mesi. A sera, dentro il gruppo, si è ricucito grazie alla paziente mediazione del capogruppo Speranza e al fair play renziano, e le votazioni notturne sono scivolate via lisce come l'olio.
Già ieri, comunque, la sarabanda interna è ricominciata. Mentre il premier twittava la prossima road map del governo («Venerdì Consiglio dei ministri: partite Iva, fatturazione elettronica, cococo, maternità. L'Italia riparte») gli ex strenui avversari del patto del Nazareno, che le riforme non le volevano perché c'era Berlusconi, ora annunciano di non volerle perché Berlusconi non c'è più: «Dovevamo fermarci e fare un accordo con gli altri partiti», dice Fassina. «Decisivo coinvolgere gli altri, bisogna ricucire il filo con Forza Italia», dice Cuperlo. «A marzo - quando ci sarà il voto finale, ndr - non ho alcuna intenzione di votare riforme con un Parlamento semivuoto», tuona Boccia. «Che Boccia sia un autorevole esponente della minoranza mi è chiaro. Ma pensavo del Pd, non di Forza Italia», ribatte il renziano Carbone. Ma il vero campo minato su cui la minoranza Pd attende al varco Renzi è la legge elettorale, che dovrebbe tornare alla Camera in marzo.
Si spera in Forza Italia, perché faccia saltare l'accordo sui capilista bloccati e consenta di modificare il testo, in modo che debba tornare al Senato, ed essere impallinato. «Meglio andare al voto subito col Mattarellum che continuare a mediare con chi vuol solo mettere bastoni tra le ruote», chiosa il renziano Giachetti.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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