La fuga folle di De Pau con un passaporto falso e il complice misterioso

Si cerca chi ha provato ad aiutare il Biondo a espatriare. Oggi interrogatorio di garanzia

La fuga folle di De Pau con un passaporto falso e il complice misterioso

Serial killer di Prati. Chi aiuta l'assassino a fuggire quando la Toyota IQ rossa si capovolge all'altezza della Magliana? E l'arma trovata nell'auto, un coltello da cucina apparentemente senza macchie di sangue, può essere quella usata per i delitti? Eppure il medico legale sostiene che le tre donne sono state uccise con una lama lunga, appuntita e ben affilata. Uno stiletto. Queste le cose che non tornano nell'indagine che ha portato al fermo di Giandavide De Pau, il pregiudicato 51enne, tossico e psicopatico, accusato di triplice omicidio volontario e che questa mattina comparirà davanti al gip nell'interrogatorio di garanzia per la convalida del fermo. E da chi voleva procurarsi un passaporto falso per espatriare? Si cerca un complice, qualcuno che avrebbe aiutato «il Biondo» ad allontanarsi dal luogo dell'incidente e raggiungere l'escort cubana alla stazione Termini. Non solo. De Pau non ha il cellulare, perduto in via Riboty durante la mattanza delle due donne asiatiche. Elemento che fa pensare alla presenza di una seconda persona fin dal suo arrivo al «centro massaggi» a pochi passi da piazzale Clodio. Il primo di due appuntamenti con la morte, secondo l'ennesima ricostruzione degli inquirenti. L'ex autista e factotum del boss di camorra Michele Senese sarebbe andato prima dalle due asiatiche, due donne di 25 e 45 anni circa. Poi avrebbe raggiunto il sottoscala di via Durazzo 38 per incontrare, e ammazzare, la 65enne colombiana, Martha Castano Torres. La conosceva? Aveva già preso appuntamento con lei? Si, perché in questa fase della tragedia consumata giovedì De Pau il telefono cellulare non ce l'ha più. Dunque l'assassino va a colpo sicuro, poco dopo aver commesso il duplice omicidio. Ma su questa accusa l'indagato non ci sta e anche dalla cella di isolamento di Regina Coeli continua a ripetere che la colombiana, lui, non l'ha nemmeno sfiorata. «Che senso ha ammettere due omicidi e negarne un terzo?», è la domanda che ripete all'infinito durante le 13 ore di interrogatorio davanti alla squadra mobile e al pm, dalle 6,30 del mattino di sabato alle 19,30 quando esce, in manette, da San Vitale. Un secondo killer, come già ipotizzato? Tra le cose che non quadrano, la sequenza degli omicidi e i frame delle telecamere. Possibile invertire la cronologia dei delitti avendo acquisito i fotogrammi datati e con l'orario bene impresso? Fin dall'inizio si parla del primo incontro a luci rosse in via Durazzo dopo le 8,30, orario suggerito dalla sorella della vittima colombiana, la transgender Maria, 60 anni. La donna sostiene che a quell'ora Martha doveva incontrare qualcuno. Quando torna a casa, alle 12,30, la trova cadavere. Uccisa a colpi di lama durante un rapporto, tanto da credere a uno squilibrato con problemi sessuali. Poi quasi due ore di vuoto, fino alle 10 quando le asiatiche sono ancora vive. A quell'ora nell'androne al primo piano non c'è nessuno, come testimoniano più persone. Alle 10,40 viene trovata la prostituta più giovane, nuda e in un lago di sangue. Nell'appartamento l'altra, intervenuta in sua difesa e per questo uccisa. Ma lo scenario ipotizzato non è credibile, a cominciare da quel buco temporale di quasi due ore in uno spazio di appena 800 metri fra le scene dei tre delitti.

Ma con la sequenza invertita i «conti» tornano. Mistero fitto sul movente e sulla presenza di un complice. Oggi verrà anche conferito l'incarico per le autopsie che verranno eseguite all'Istituto di Medicina Legale del Gemelli.

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