«Voglio indietro la mia vita a partire da ora». Con queste parole ieri, Nigel Farage ha dato le dimissioni da leader del partito indipendentista inglese. A sorpresa, dopo aver traghettato il Paese fuori dall'Europa, il padre degli euroscettici ha pensato bene di mollare il colpo. Ai giornalisti ha spiegato che adesso che aveva vinto il Leave la sua missione poteva dirsi completata e quindi poteva ritornare alla tranquilla esistenza di una volta.
Una mossa che ha lasciato di stucco tutti, soprattutto perché va ad aggiungersi a quella dell'altro padre di Brexit, ovvero l'ex sindaco della city Boris Johnson. Sembra proprio che dopo essere stati i maggiori sostenitori del referendum, sia uno che l'altro non abbiano alcuna voglia di affrontare il tormentato processo formale a cui il Paese sta andando incontro nel distacco dall'Unione. Quello lo lasciano al prossimo primo ministro che, come ha sottolineato Farage, dovrà essere ovviamente uno «pro-Brexit».
Le dimissioni di Farage sono state confermate, nero su bianco, anche da un comunicato stampa molto chiaro. «Sono entrato in questa battaglia arrivando dal mondo del lavoro - ha spiegato - perché volevo che tornassimo ad essere una nazione auto-governata, non certo per diventare un politico di professione. Il partito adesso è in una buona posizione e con il mio aiuto continuerà ad attrarre altri voti». Il leader uscente sottolinea però che completerà il suo mandato come membro del Parlamento europeo e che vigilerà «come un falco» sul processo di uscita. In un certo un controsenso: proprio lui che ha combattuto per far uscire Londra dall'Unione continua a prendere soldi, a essere pagato da quell'Europa che non ha più condiviso.
«Mentre è chiaro che lasceremo l'Unione - ha detto - i termini della nostra uscita non sono ancora chiari». Non è escluso comunque che l'uomo se ne vada un po' giro per l'Europa per dare una mano con i suoi consigli agli altri eventuali Paesi che vogliono imitare la Gran Bretagna. Farage ha anche ipotizzato di assumere un ruolo nelle prossime trattative dicendo di «avere ancora qualcosa da dare». Il ruolo del partito adesso sarà, secondo lui, soprattutto quello di bloccare ogni debolezza da parte del governo britannico nella fase di negoziazione dei prossimi due anni.
«Io rimango accanto al partito - ha rimarcato - e vediamo dove saremo tra due anni e mezzo. Ma non ho bisogno di essere il leader dell'Ukip. Sarò parte della campagna elettorale del 2020 se non avremo ottenuto quello che volevamo. Ora che abbiamo avuto indietro il nostro Paese, se i termini d'uscita non saranno quelli giusti, farò di tutto per aiutare la gente ad ottenerli. «Con il partito laburista sempre meno a contatto con i suoi elettori - ha infine commentato - forse i migliori giorni dell'Ukip devono ancora venire».
In effetti l'abbandono di Farage potrebbe rivelarsi un boomerang soprattutto per il partito di Jeremy Corbyn dove molti elettori hanno votato per Leave in netta contrapposizione con l'indicazione del loro leader di partito. Se il partito di Farage dovesse eleggere qualcuno meno controverso e divisivo di lui, i laburisti potrebbero perdere molti dei loro sostenitori.
La corsa al nuovo leader comincia ora e i possibili candidati includono il vice di Farage Paul Nuttall, il portavoce per l'immigrazione Steven Woolfe, il deputato Douglas Carswell.
Quest'ultimo, che si è spesso scontrato duramente con Farage, alla notizia delle dimissioni ha twittato un faccino sorridente, ma per ora ha escluso una sua candidatura.Farage si era già dimesso due volte in passato per poi tornare sui propri passi, ma questa volta ha promesso che non lo farà di nuovo.
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