Nel Movimento cinque stelle ci sono due anime inconciliabili, «una che segue la pancia della base, l'altra che pensa solo ad arrivare al governo» e vuole «un movimento fatto da yes men». È l'analisi dell'ex grillino più famoso (e odiato), Federico Pizzarotti, sindaco di Parma. A stravincere il 4 marzo è stata la prima, l'anima governativa, incarnata dal leader in giacca e cravatta Luigi Di Maio, l'uomo su cui la Casaleggio Associati ha puntato per la scalata alle istituzioni. «Ormai non è più il movimento che conoscevamo, ora è il partito di Luigi, gestito dalla piattaforma Rousseau» dice invece Nicola Biondo, ex capo della comunicazione dei 5 Stelle alla Camera. Il voto è stata una prova di forza anche interna per Di Maio, se si fosse fermato attorno al 28% come pronosticavano i sondaggi ancora pochi giorni prima delle urne sarebbe stata una mezza sconfitta, mentre il successo ottenuto consolida la sua leadership e azzera le (già deboli) voci in dissenso. Tanto che ormai si fa fatica anche a contarle sulle dita di una mano. Gli esperti di geografie grilline indicano in Nicola Morra, senatore riconfermato, nella Lombardi però ormai «esiliata» a fare l'opposizione in Regione Lazio, nel solito Roberto Fico che però non ha velleità di capocorrente, tantomeno adesso che Di Maio è vincente, e che il suo nome è in ballo per la presidenza della Camera.
Altri ex critici del protagonismo di «Giggino», come Laura Castelli e Giulia Grillo, sono passati alla fazione vincente e la ricompensa è stata di entrare nell'inner circle. Di Battista? Gioca una partita sua, da risorsa esterna, ma sempre in grado di rientrare in prima linea se il partito di Di Maio dovesse entrare in crisi. Il piacione romano è il contraltare dell'ingessato Luigi, e ripropone il dualismo tra Grillo e Casaleggio. Per ora vince lo schema Casaleggio-Di Maio, e non è un caso che Grillo si sia defilato.
La verità è che il candidato premier si è plasmato un gruppo parlamentare a sua immagine e somiglianza, scegliendo i candidati personalmente insieme a Davide Casaleggio. Due terzi dei parlamentari Cinque Stelle sono nuovi, e fanno tutti riferimento a lui. E al suo cerchio magico. Composto dai deputati Bonafede e Fraccaro, dal fidato Vincenzo Spadafora, poi Stefano Buffagni, ex consigliere regionale neoeletto alla Camera, e dai nuovi consiglieri i giornalisti Emilio Carelli e Gianluigi Paragone. Però l'altra anima, quella della pancia, al momento azzerata dal successo di Di Maio, è pronta a riemergere ai primi schricchiolii. E già le avvisaglie si vedono. Le spifferate sui falsi bonifici delle restituzioni dei parlamentari M5s, a pochi giorni dal voto, sono partite dagli ambienti interni che volevano azzoppare Giggino. E poi la spaccatura che si è aperta sull'apertura alle Olimpiadi invernali a Torino, dove governa la Appendino, dopo il gran rifiuto delle Olimpiadi a Roma. Un altro indizio del cambio di passo governativo del Movimento, che però cozza con la pancia della base.
Uno dei leader storici dei grillini in Piemonte, Davide Bono, consigliere regionale M5s, si è fatto portavoce del malessere: «Io mi chiedo, ma con tutti i casini che abbiamo trovato a Torino e che vediamo in Regione e nello Stato, ma proprio in un'altra Olimpiade dobbiamo andare ad infilarci come un Pd qualunque? A me non sembra per nulla saggio» ha scritto su Facebook. Ora, dopo il boom, il M5s è un monolite, Di Maio intoccabile. Ma la partita più difficile, con nomine e governi in ballo, per lui è appena iniziata.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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