I dubbi amletici del giudice Amedeo Franco. Ora, con perfetto tempismo, il Fatto Quotidiano ci informa che non ci fu alcun tormento nell'animo del magistrato che era parte del collegio di Cassazione che nel 2013 condannò il Cavaliere.
Nei giorni scorsi, dopo un approfondimento lungo anni, l'avvocato Niccoló Ghedini ha fatto il grande passo: ha presentato a Brescia istanza di revisione. Insomma, potrebbero esserci gli elementi per innescare la più clamorosa retromarcia nella storia giudiziaria d'Italia e dichiarare Silvio Berlusconi innocente cancellando, la macchia per frode fiscale. Si vedrà. Ma intanto il quotidiano diretto da Marco Travaglio non perde tempo e apre il fuoco di sbarramento, dedicando due pagine alla spinosissima vicenda. Il titolo, a caratteri cubitali, è pensato come un colpo da ko: «La condanna di Berlusconi: non ci furono irregolarità».
A dirlo sono i pm di Roma che avevano raccolto l'ennesimo esposto di Antonio Esposito, il presidente del collegio che secondo Franco si comportò come «un plotone di esecuzione». La procura di Roma ha scavato ed è arrivata alla conclusione che le sconcertanti e inquietanti dichiarazioni di Franco non furono il frutto di un rovello interiore.
Ma perché dunque il giudice il 6 febbraio 2014 va a colloquio con Berlusconi? Per liberarsi la coscienza? No, la procura della capitale sposa un'altra linea: «I colloqui di Franco con Berlusconi lungi dall'apparire un reale e serio tentativo di riparare a un danno fatto per porre fine ad un autentico tormento interiore, vanno interpretati come un tentativo di compiacere il proprio interlocutore (non si comprende a quali fini) , esonerandosi parimenti dalla responsabilità del proprio operato».
Ad alimentare i dubbi dei pm - che pure hanno spedito sul binario morto dell'archiviazione la denuncia di Esposito contro il direttore del Riformista Pietro Sansonetti - è la genesi di quell'appuntamento: per raggiungere Berlusconi Franco contatta un altro magistrato, Cosimo Ferri, una delle toghe più note d'Italia e oggi deputato di Italia Viva, che però conosce appena. Strano, per uno che aveva problemi a guardarsi allo specchio.
Insomma, par di capire che quella orchestrata da Franco sia stata una grande manovra di avvicinamento al leader del centrodestra e non una confessione con il cuore in mano. E questo ne minerebbe pesantemente la credibilità.
Fin qui la Procura di Roma che però non riesce ad andare oltre.
Franco è morto, restano le sue parole e i suoi audio, affilatissimi. Per il Fatto la partita è chiusa, per la difesa del Cavaliere invece dovrebbe essere riaperta; il Cavaliere attende intanto una prima definizione dalla Corte di Strasburgo.
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