«Non ci facciamo intimidire da dichiarazioni a effetto, l'Italia merita rispetto». La replica per nulla conciliante di Matteo Renzi all'invettiva di Juncker, piombata ieri da Bruxelles, dimostra che il premier non l'ha presa bene, e che non pare intenzionato ad abbassare i toni nel suo scontro con la Ue. «Il tempo in cui si poteva telecomandare l'Italia da Bruxelles è finito». «Sorpreso» e anche «furibondo», sono gli aggettivi usati da chi ha avuto contatti diretti con Renzi durante la giornata di ieri.
Furibondo con Juncker, da cui non ci si aspettava un affondo così diretto, ma ancor più con un altro personaggio: la vice, almeno sulla carta, di Juncker, colei che «a Matteo deve tutto» e che invece, da mesi, è considerata desaparecida da Palazzo Chigi. Federica Mogherini, la principale miracolata da Renzi, che volle a tutti costi promuoverla da oscura peone parlamentare (in quota Franceschini) a ministro, e poi a commissario Ue con delega alla politica estera, è ora finita in testa alla black list del capo del governo: «Ma dove stava, in queste settimane, che faceva?».Non solo in questi giorni cruciali l'unica rappresentante italiana ai vertici Ue non è stata in grado di far sentire la voce di Roma dentro la Commissione, né di avvertire il governo del doppio colpo che stava per arrivare da Bruxelles (prima la tirata d'orecchi del commissario economico Moscovici sull'eccessivo ricorso all'extra-deficit, poi la sparata di Juncker ieri). Ma dopo questa prova di «inutilità», come la definisce un dirigente renziano del Pd, ieri la Mogherini ha fatto anche di peggio, agli occhi del governo che la ha imposta - illustre sconosciuta - in Europa: infatti il fervorino che Miss Pesc ha dettato ieri alle agenzie, dopo il patatrac («È stupido creare o alimentare divisioni in Europa, dobbiamo stare uniti») è stato letto nel governo come una dichiarazione di vera e propria ostilità, con una scelta di campo a favore della Commissione, in barba al proprio paese. Di qui i tuoni, fulmini e saette che ieri a Palazzo Chigi accompagnavano ogni riferimento alla malcapitata.
Ma la realtà allarmante è che l'esecutivo italiano, non potendo contare sul proprio commissario, a Bruxelles ha un fianco fondamentale scoperto. La notizia di quanto stava dicendo il presidente della Commissione è giunta a Renzi, in diretta, durante il Consiglio dei ministri della mattinata. Il premier ha subito concordato con Pier Carlo Padoan una prima risposta assai diplomatica, affidata al ministro: «Nessuna volontà di offendere, i rapporti rimangono cordiali e costruttivi». Intanto Renzi riceveva il capogruppo Pse a Strasburgo, Gianni Pittella, che lancia un avviso: «Il sostegno del mio gruppo alla Commissione Juncker non è in discussione. Ma la fiducia non sarà eterna se non vedremo un cambio di passo, una svolta soprattutto sul fronte economico e sociale». Il premier ha fatto sapere che il 22 gennaio prossimo riunirà gli europarlamentari del Pd, pochi giorni prima di incontrare la Cancelliera Merkel. Con la quale, nonostante i battibecchi, il rapporto è rimasto molto buono: il problema è che nel frattempo la Merkel si è però indebolita e nel vuoto di potere che questo sta creando negli equilibri Ue a riprendere terreno sono da una parte la Commissione e dall'altra singoli paesi che, come la Francia, hanno conti in sospeso con l'Italia (Hollande si è legato al dito il no di Renzi a seguire Parigi nella sua guerra di Siria, e ora la Libia è un altro terreno di scontro).
Il governo non è preoccupato per il giudizio sulla legge di Stabilità approvata a fine 2015 e sub judice a Bruxelles: «Lì non ci saranno problemi: questa è una guerra preventiva sul prossimo Def di aprile - si spiega - e ora è ufficiale che su quello apriranno le ostilità, a cominciare dai nostri tagli fiscali».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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