Con il genio che creò il varietà si spegne la tv in bianco e nero

È stato il regista di telecapolavori come «Canzonissima» e «Studio Uno». Scrivendo le regole dell'intrattenimento

Con il genio che creò il varietà si spegne la tv in bianco e nero

Bastava la sigla, «regia di Antonello Falqui». Lui non appariva mai, erano i suoi programmi ad apparire per lui. Se ne è andato ieri, a 94 anni appena compiuti, dopo aver creato il varietà e averlo riempito di ricordi che oggi automaticamente si riaccendono a ogni Techetechetè o a ogni immagine d'archivio. Paolo Panelli, Delia Scala, Nino Manfredi. Le gemelle Kessler. Mina e Battisti. Bastava la sigla: Il Musichiere, Canzonissima, Studio Uno, Milleluci, Dove sta Zazà. L'Italia del boom, ma non solo. Anche l'Italia che resisteva al Sessantotto. E quella che ne riemergeva diversa ma con la stessa voglia di divertirsi almeno al sabato sera.

Antonello Falqui era il deus ex machina, quello che, conoscendola benissimo, aveva costruito anno dopo anno, programma dopo programma, le regole della macchina implacabile e indispensabile che era il «sabato sera» nel tinello di casa. Il varietà, signori. Di sicuro non ci pensava neanche lui quando, figlio di un critico e scrittore, aveva iniziato a fare l'aiuto regista di Curzio Malaparte e poi anche di Mario Soldati prima di debuttare in una Rai neonata, anzi nascitura perché nel 1952 manco andava in onda. Dirige prima qualche documentario ma era roba troppo seria per lui, che era serissimo e meticoloso e pignolo quando si trattava di far divertire gli altri. È il regista del Musichiere di Mario Riva, praticamente la prima volta in cui il pop è diventato una gara. Contemporaneamente, Canzonissima. Due per volta ('58 e '59, '68 e '69). Quella è stata la separazione delle acque e lui si è rivelato il Mosè della tv. Da una parte i barocchismi che richiamavano il teatro e il cinema, dall'altra la vera tv. Poche scenografie, anzi spesso quasi niente. In Studio Uno del 1961, con la «preferita» Mina e le gemelle Kessler, le linee sono il bianco e il nero proprio come la tv di allora. Niente grigi. Niente vie di mezzo. I protagonisti, pardon conduttori, erano nudi con il loro talento. A Teatro 10 del 1972 è lui il regista dell'unico duetto tra Mina e Battisti, quasi dieci minuti decisivi per la canzone d'autore, due voci e basta perché erano grandi voci con grandi canzoni. Nudi. E questa essenzialità sofferta, questo lavoro per sottrazione è diventato il biglietto da visita di Antonello Falqui, anche quando invece del varietà sublimava l'avanspettacolo come in Giandomenico Fracchia - Sogni proibiti di uno di noi del 1975 oppure attraversava i dirompenti anni Ottanta con Al Paradise che riusciva a mettere insieme Jerry Lewis, Mariangela Melato, Milva e Oreste Lionello (nel 1984). Bastava la sigla, regia di....

Dagli anni Novanta in avanti Falqui dirige qualche concertone di Pavarotti, poi insegna, poi invecchia e si gode il privilegio di poter girare la chiave della cassaforte dei ricordi di un intero Paese. Appena se ne è andato, su Facebook è stato pubblicato questo post: «Sono partito per un Lungo Lungo Lungo Viaggio.

Potete venire a salutarmi lunedì 18 novembre alle ore 11 alla Chiesa S. Eugenio di Roma. Mi raccomando, niente fiori.». Un colpo di scena, l'ultimo di un geniaccio che è diventato protagonista pur restando sempre, immancabilmente dietro le quinte.

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