Un sindaco sull'orlo di una crisi di nervi. Una giunta appesa a un filo. Una maggioranza inesistente. Veti incrociati e ricatti. È la situazione del Comune di Genova dove il sindaco Marco Doria è ormai un primo cittadino fantasma. Non si dimette, per ora. Ma ci sta ancora ragionando. Di sicuro non si ricandiderà alle prossime amministrative di primavera. La degna conclusione per quella «rivoluzione arancione» tanto sbandierata nel centrosinistra tra il 2011 e il 2012 e mai davvero cominciata, a Genova come nel resto d'Italia.
Il casus belli è la bocciatura della delibera sulla fusione dell'azienda che gestisce i rifiuti, Amiu, con quella che si occupa anche di ambiente, Iren. Uno smacco per il sindaco, contro cui hanno votato anche numerosi consiglieri della maggioranza di centrosinistra. Ma è soltanto l'ultimo segnale di una scollatura profonda tra il primo cittadino, chi lo sostiene in Comune e una città che di fatto lo ha scaricato da tempo. Il «marchese rosso», così soprannominato per le sue origini nobili, è diventato sindaco un po' per caso. Dopo aver vinto le primarie sfruttando della profonda spaccatura in seno al Pd che aveva presentato due pezzi da 90 come il sindaco uscente Marta Vincenzi e l'attuale ministro della Difesa Roberta Pinotti (entrambe sconfitte) ha vinto in scioltezza le amministrative approfittando dell'allora debolezza del centrodestra cittadino (ora tornato a ruggire dopo l'affermazione di Toti alle regionali) e di un Movimento 5 stelle che nella città di Grillo fatica a sfondare. Forse perché da quelle parti lo conoscono bene. Da quel momento, un po' per una personalità troppo mite e distaccata, un po' per scelte quantomeno discutibili, ha perso prima l'appoggio di buona parte del Pd e poi della parte operaia della città, proprio quella che l'aveva sospinto alla vittoria.
Il sindaco di nessuno è sotto scacco da mesi. Sfiduciato e senza più appoggio ha pensato a lungo al passo indietro ma probabilmente terrà duro per gli ultimi tre mesi. «Se il sindaco dichiara che la fase politica è finita e che non si ricandida, possiamo trovare i voti per mettere in sicurezza i lavoratori di Amiu», aveva detto il segretario dl Pd Alessandro Terrile. Un velato ricatto, che tradotto si legge con «ti sosteniamo ancora se ti levi dai piedi». Detto e fatto. Ieri Doria, che ormai parla soltanto tramite comunicati stampa e post via Facebook, ha annunciato.
«Non intendo ricandidarmi alle prossime elezioni», specificando che sulle dimissioni sta ancora ragionando e lanciando un monito di addio a tutti i genovesi, spiegando che «a causa della bocciatura della delibera per motivi di bottega» la tari, la tassa sui rifiuti, schizzerà alle stelle. Un regalo di addio.Di certo la campagna elettorale a Genova è già cominciata. E il centrosinistra, in uno dei suoi feudi storici, si presenta già profondamente spaccato.
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