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Georgia, sfida all'ultimo voto per il Senato

In gioco c'è la maggioranza alla Camera Alta. I comizi "paralleli" del tycoon e di Biden

Georgia, sfida all'ultimo voto per il Senato

Il fine giustifica i mezzi. Le elezioni suppletive nello Stato della Georgia per il rinnovo di due seggi senatoriali a Washington sono talmente importanti da spiegare la presenza contemporanea ieri sera in quell'angolo tutto sommato periferico degli States del presidente uscente Donald Trump e di quello eletto Joe Biden. Entrambi hanno tenuto in due diverse e oscure località dello Stato del Sud Dalton e Whitfield -, mentre in Italia era già notte, i loro comizi davanti a un pubblico che i sondaggi predicono essere così diviso da impedire ragionevoli previsioni sul risultato finale. Un risultato che da solo determinerà il contesto politico in cui Biden potrà muoversi a Washington.

La posta in gioco è nota, ma merita di essere riassunta. Il 20 gennaio, giorno del suo insediamento alla Casa Bianca ormai sicuro nonostante le disperate manovre dell'ultim'ora da parte di Trump, Joe Biden troverà una Camera a maggioranza democratica, ma un Senato dai numeri tuttora incerti. Perché se è vero che oggi i repubblicani vi detengono una stretta maggioranza di 50 senatori contro 48, è altrettanto vero che i due in palio oggi in Georgia saranno decisivi: entrambi i seggi degli uscenti appartengono al Grand Old Party (GOP, repubblicano), ma se i democratici riusciranno e non è affatto impossibile a conquistarli avranno davvero fatto bingo. Raggiungendo la parità a quota 50, infatti, otterrebbero di fatto la maggioranza: e questo perché nel Senato americano, in caso di parità, il voto del vicepresidente degli Stati Uniti che sarà la democratica Kamala Harris diventa decisivo.

Ecco perché il risultato del voto odierno va ben oltre i confini dello Stato della Georgia. Solo la eventuale vittoria dei candidati democratici Jon Ossoff e Raphael Warnock garantirebbe a Biden la possibilità di portare avanti il suo programma politico senza subire il condizionamento di una delle due Camere in mano all'opposizione. Non a caso nei due mesi dopo le presidenziali del 3 novembre in Georgia sono stati spesi in pubblicità elettorale quasi mezzo miliardo di dollari, equivalenti all'intera spesa sostenuta da Trump nel 2016: per i prossimi due anni si decide tutto qui.

Sulla carta la Georgia non dovrebbe preoccupare troppo il GOP, che da decenni manda a Washington entrambi i senatori lasciando i democratici a bocca asciutta. Di recente, però, molte cose sono cambiate in quello che era un classico stato conservatore del Sud. Non solo la composizione etnica e sociale è profondamente cambiata, tanto da permettere la vittoria di misura di Biden che Trump sta così scompostamente contestando. Ma proprio quella reazione sopra le righe ha generato una guerra intestina tra i repubblicani che rischia di regalare la vittoria agli avversari, facendo dimenticare a tanti sostenitori del GOP l'importanza di non consegnare a Biden il Senato.

Fino all'ultimo minuto nessuno si sentiva nemmeno di garantire che nel suo comizio Trump avrebbe davvero sostenuto i candidati del suo partito. Ormai preda di una rabbia impotente, il presidente uscente ha dipinto in anticipo uno scenario in cui i georgiani avrebbero preferito «votare in negativo per punire chi non ha difeso il presidente», e lo stesso vice governatore repubblicano della Georgia Geoff Duncan l'ha accusato di non aver fatto nulla per aiutare il GOP a vincere oggi.

Così, non è molto importante quel che dirà Biden ai suoi sostenitori a Dalton: dipenderà da Trump, che forse preferirà far crollare il tempio repubblicano con dentro tutti i filistei che, a suo dire, lo stanno tradendo.

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