Cronache

Giapponese resta sette mesi in attesa. E il Machu Picchu apre soltanto per lui

Per visitare il sito archeologico Jesse Katayama era arrivato a marzo ma il Covid lo aveva fermato. Ora è un idolo in Perù

Giapponese resta sette mesi in attesa. E il Machu Picchu apre soltanto per lui

Dopo lo Slow Food, inventato da Carlin Petrini nel 1986 quando i fast food erano ancora oggetto di polemiche, a causa del Covid19 nasce adesso lo Slow Tourism, il turismo lento. Il nome da segnare sul taccuino come «icona suo malgrado» di questa nuova tendenza è quello di un giapponese, Jesse Katayama e la sua storia ha dell'incredibile. Già perché questo 26enne di Nara, città nipponica celebre per i bellissimi templi buddisti, era arrivato dalla Bolivia a Cuzco, in Perù, il 13 di marzo scorso e, il giorno dopo, era già ad Aguas Calientes, la cittadina da cui parte chiunque voglia visitare Machu Picchu. L'idea di Jesse era fermarsi tre giorni in Perù, unico scopo visitare una delle sette meraviglie del mondo ma, soprattutto, il sito archeologico su cui lui fantasticava sin da bambino, quando aveva visto una fotografia della capitale degli Incas sul suo libro delle elementari. Jesse aveva già in tasca il biglietto del bus per partire all'alba del 15 marzo quando, all'improvviso, tutto svaniva a causa del rigido lockdown imposto dal presidente Martín Vizcarra che, per l'emergenza Covid19, cancellava tutte le visite turistiche ai siti archeologici, a cominciare dal Machu Picchu.

Le centinaia di turisti stranieri che erano con Katayama ad Aguas Calientes quella mattina decidevano di lasciare il Paese andino con gli ultimi voli ma lui, forse «per la sua abitudine alla meditazione» o per «la passione per il pugilato, sport che ti aiuta a mantenere il controllo di mente e corpo», sceglieva di rimanere.

«Non ho fretta, imparerò lo spagnolo, imparerò le ricette della cucina di qui», disse 8 mesi fa via Messenger ai suoi amici dell'università di Osaka, dove si è laureato. Del resto si sa, i giapponesi sono tenaci, non mollano mai e, nelle difficoltà sanno organizzarsi, con calma. Non a caso di fronte al virus cinese loro hanno risolto tutto con piccoli lockdown brevi e un tracciamento high tech e, ad oggi, hanno pianto appena 1634 morti, pur avendo 130 milioni di abitanti, più del doppio dell'Italia.

Jesse sino a una settimana fa era un illustre sconosciuto. Oggi invece in Perù è una star. E il motivo è semplice. Dopo avere aspettato ben 236 giorni - nel Paese che nonostante il lockdown, ha avuto più vittime da coronavirus al mondo con oltre 1000 morti ogni milione di abitanti - è riuscito a coronare il suo sogno

Già perché venerdì scorso, il 10 ottobre, è finalmente arrivato il tanto atteso «ok» da parte del ministro della Cultura peruviano, Alejandro Neyra: «Al signor Katayama è stato concesso l'accesso al Machu Picchu, dopo aver ricevuto da lui una richiesta speciale che abbiamo esaminato con attenzione». E così Jesse, che oggi parla uno spagnolo perfetto e sa cucinare i piatti peruviani più gourmet, sabato è entrato raggiante con il responsabile del sito archeologico più famoso dell'America latina. Solo lui, perché Machu Picchu rimane chiuso ancora per almeno un mese a tutti gli altri turisti del mondo.

In un video registrato in cima alla montagna e pubblicato ieri sul suo Instagram personale, il turista più «slow» del mondo ha celebrato la visita in modo commovente, almeno per quelli che sono gli standard nipponici: «Questo tour è davvero fantastico, grazie a tutti» ha detto sorridente, incurante del fatto che per quasi otto mesi la sua vita è stata bloccata ad Aguas Calientes. Un paesino solitamente pieno di hippie alla ricerca dello sballo da ayahuasca e di turisti ma che, da metà marzo scorso, è deserto.

A parte naturalmente il turista zen Katayama, che da ieri è entrato di diritto nella storia, diventando l'icona per eccellenza dello Slow Tourism.

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