Una delle ultime apparizioni pubbliche di Gianluigi Gabetti porta come data il 14 settembre dello scorso anno. Nel Duomo di Torino viene ricordato, a quasi due mesi dalla scomparsa, l'ex ad di Fca, Sergio Marchionne. Gabetti siede in prima fila con il suo ex «allievo» John Elkann e la moglie Lavinia; accanto a loro ci sono Mike Manley, Louis Carey Camilleri e Piero Ferrari.
Passato, presente e futuro di Lingotto e Cavallino rampante uniti nell'ultimo simbolico abbraccio a Marchionne, il manager che Umberto Agnelli, un anno prima di morire, aveva fatto entrare nel cda di Fiat, parlandone un gran bene a Gabetti.
Da Gianni Agnelli a John Elkann, dalla Fiat sull'orlo del baratro a Fca gruppo globale: c'è tanto di Gabetti, uomo di fiducia dell'Avvocato e molto legato alle sue sorelle, Suni e Maria Sole, nella storia della prima realtà industriale italiana. Un manager lungimirante, con esperienza internazionale e amicizie importanti nell'alta finanza. Ma anche un uomo abile e scaltro che, lavorando in tandem con Franzo Grande Stevens, l'avvocato dell'Avvocato, ha più volte tolto alla famiglia Agnelli le castagne dal fuoco. Due le operazioni passate alla storia: l'accordo del 1976 che consentì ai libici di sottoscrivere un aumento di capitale della Fiat, pari a 415 milioni di dollari: il 9,7% delle azioni ordinarie. Per poi, 10 anni dopo, riacquistare dagli stessi 90 milioni di azioni, pagandole circa 1 miliardo di dollari, portando così a poco meno del 40% la quota degli Agnelli nel capitale del Lingotto. L'altra operazione magistrale, conosciuta come equity swap, permise negl 2005 agli Agnelli - alla scadenza del prestito convertendo di 3 miliardi da parte di un pool di banche - di mantenere il controllo di Fiat, evitando in questo modo il rischio di uno spezzatino.
Gabetti, rientrato in gioco per volontà di Umberto Agnelli, presidente di Fiat dopo la morte del fratello Gianni, ha dovuto gestire il periodo più difficile del gruppo, tenendo unita la famiglia. Nei giorni successivi il funerale di Umberto Agnelli, con l'allora ad Giuseppe Morchio pronto ad assumere la guida dell'impero industriale torinese, Gabetti bloccò sul nascere il blitz, proponendo Luca di Montezemolo nel ruolo di presidente («gli telefonò mentre il neo capo di Confindustria era alla guida, pregandolo di accostare», ricorda un conoscente). Quasi contemporaneamente, in un ristorante di Ginevra, John Elkann, destinato dal nonno Gianni a prendere in mano il volante del gruppo e degli interessi della famiglia, chiedeva a Marchionne di accettare l'incarico di ad del Lingotto. Qualche anno dopo, con Fiat avviata al risanamento, Gabetti descrisse Marchionne a un amico con queste parole: «È un uomo geniale».
Gabetti viveva in un appartamento del Nh hotel (ex Meridien) alle spalle della palazzina del Lingotto. Chi scrive, la mattina del 4 novembre 2005, lo intercettò nella hall dell'albergo, dove era atteso dal suo autista. Presidente (lo era delle «cassaforti» Ifi, Ifil e dell'accomandita), gli chiesi, quando arriverà il momento di John Elkann?
La risposta: «Sì, John è pronto, è molto bravo, serio e professionale, E io vorrei, con gradualità ma seriamente, passare il timone, anzi uno o due timoni...». Un'investitura ufficiale che, negli anni, ha portano Elkann ad assumere la guida di Fca e «cassaforti» di famiglia, per poi, scomparso Marchionne, anche di Ferrari.
«Gabetti è stato un grande amico - sussurra commossa Maria Sole Agnelli -; Gianni si fidava molto di lui. L'ho incontrato per l'ultima volta lo scorso anno nella sua casa di campagna. Ha fatto tanto per la Fiat.
E ha rispettato le volontà di Umberto su Marchionne. Ha prima inquadrato e poi messo mio nipote sulla buona strada». Il ricordo dell'ex «allievo» Elkann: «Per quello che ha fatto, ma anche per come lo ha fatto, lo ricorderò sempre con affetto e gratitudine».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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