Afghanistan in fiamme

La gioia di chi sbarca in Italia: "Lasciamo il terrore alle spalle"

Atterrato ieri l'aereo italiano con 85 afghani, già partiti altri due voli con 200 civili. A bordo l'attivista Ahmadi

La gioia di chi sbarca in Italia: "Lasciamo il terrore alle spalle"

Sono saliti a bordo del KC767 dell'aeronautica militare con la morte negli occhi. Con le immagini, o anche soltanto i racconti, di quei connazionali che prima di loro avevano cercato di scappare da Kabul aggrappandosi ad uno dei tanti aerei occidentali in partenza, andando incontro ad un destino orribile. Riuscire a prendere quel volo, per molti, poteva fare la differenza tra vivere o morire. O comunque tra vivere in un Paese democratico o in uno dove, ormai, l'unica legge possibile è la Sharia. Un sollievo ma con il cuore a pezzi, dunque, l'essere presi in carico dalla Difesa italiana, per gli 85 collaboratori afghani in fuga, molti dei quali hanno dovuto abbandonare parte delle loro famiglie alla mercé dei talebani. In attesa di salire su uno dei prossimi voli predisposti dai corridoi umanitari.

«Finalmente ci lasciamo il terrore alle spalle», dicono salendo la scaletta dell'aereo che è arrivato a Fiumicino ieri dopo uno scalo tecnico in Kuwait. Nessun contatto con i giornalisti, non solo per questioni sanitarie, ma anche di sicurezza, perché c'è il timore di ritorsioni da parte dei talebani sui familiari rimasti in patria. Dopo i tamponi di rito effettuati presso il Terminal 5 del Leonardo da Vinci, i profughi saranno messi in quarantena. Alcuni saranno presi in carico dal ministero dell'Interno e inseriti nel programma di accoglienza e integrazione, altri andranno in una struttura militare a Roccaraso, in Abruzzo, dove già sono ospitati i connazionali arrivati nei giorni scorsi. Uno di loro, un interprete, racconta così l'addio al suo Paese: «Siamo saliti sull'aereo con la paura che i talebani ci catturassero, ma dovevamo per forza uscire dall'Afghanistan. Ora le famiglie rimaste hanno bisogno di aiuto, di protezione internazionale. Vedremo cosa succederà, per ora siamo in una situazione tranquilla, abbiamo tutto grazie all'esercito italiano. In Afghanistan non c'è più futuro, il mio Paese non ha più alcuna speranza. Abbiamo chiesto asilo politico e vorremmo avere la cittadinanza, anche per i nostri figli, che speriamo possano avere una vita normale e andare a scuola. Ringrazieremo sempre per questo il governo italiano».

A bordo dell'aereo atterrato ieri, oltre ai collaboratori afghani e ai loro familiari, al personale della Delegazione Ue e Nato, c'era anche una cooperante italiana. È stato solo il primo di una lunga serie di voli per mettere in salvo più persone possibile. «Il Comando operativo vertice interforze ha attuato un'accelerazione nelle operazioni di trasferimento, che possiamo chiamare ponte aereo umanitario, dei cittadini afghani collaboratori dell'Italia e anche di tutti coloro che adesso sono in condizioni di necessità», spiega il colonnello Diego Giarrizzo. Sono «oltre 1.500 i militari della Difesa attualmente impiegati nell'operazione». Operazione che andrà avanti fin quando le condizioni di sicurezza dell'aeroporto lo permetteranno. Altri due velivoli C130 sono già decollati dal Kuwait alla volta di Kabul per imbarcare altre 200 persone che verranno poi trasportate in Italia. A decidere chi far salire sugli aerei, che per gli afghani costituiscono l'ultima via d'uscita dal Paese, è una task force di evacuazione composta da decine di militari che ha il compito di individuare ed identificare queste persone già riconosciute collaboratori dell'Italia. «Il numero iniziale di afghani individuati, per i quali avevamo già iniziato il trasferimento da giugno, era stimato in diverse centinaia, ma man mano si va incrementando», dice Giarrizzo.

Questa mattina, a Fiumicino, l'arrivo di un altro volo partito ieri da Kabul con a bordo anche l'attivista Zahra Ahmadi con i suoi familiari e il personale della Fondazione Veronesi al completo.

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