Sull'autonomia (delle regioni ricche e produttive) si gioca la salute dell'alleanza gialloverde. Matteo Salvini rilancia a ogni passo il suo slogan del «fare» e dell'autonomia e passa la patata bollente nelle mani di Luigi Di Maio. Il quale, da smaliziato giovane campano, si diverte a smarcarsi per non restare col cerino in mano. «Dicano se quest'autonomia la vogliono, sì o no» tuonava ieri il ministro dell'Interno durante un incontro pubblico a Verona. In quel Veneto che non solo è stato volano della rinascita del Carroccio di stampo salviniano ma è tra i soggetti istituzionali che chiedono la riforma della Costituzione con l'autonomia regionale. E di fronte a quell'uditorio Salvini batte sul tasto del fare. «Ci sono troppi no: no al metano, no all'Alta velocità, no alla legittima difesa, no all'autonomia. Laddove ci sarebbe, invece, un gran bisogno di sì». Alla guerra di posizione contro gli alleati grillini partecipa anche il governatore Luca Zaia che, intervistato dal Corriere ricorda che sono già passati 530 giorni da quando con un referendum, cui hanno partecipato oltre 2 milioni e 300mila persone, il Veneto chiedeva più autonomia. «Salvini ha dimostrato che noi manteniamo la parola data - dice il governatore -. Abbiamo promesso l'autonomia e ora è arrivato il tempo di tradurla in pratica». A ottobre scorso il testo della riforma era pronto e, assicurano i leghisti, rispettava i paletti posti dai grillini all'atto della stesura del contratto di governo. Però ancora non si è passati dalle parole ai fatti. «Per me - aggiunge Salvini - l'emergenza è la riduzione della tasse e l'autonomia permette appunto di spendere di meno e spendere meglio. Se qualcuno cambia idea ha tempo da perdere, lo spieghi agli italiani». Il capo della Lega vuole portare allo scoperto il «piano B» che, secondo molti, i grillini stanno preparando in sordina. Le recenti frecciate sulla sicurezza, l'allarme accorato sulla deriva di estrema destra che anche Di Maio vede crescere, fanno temere un cambio di alleanza. Le aperture del Pd su temi cari ai 5Stelle e soprattutto il gioco di sponda sul legame definito «ambiguo» tra Lega e Casapound mettono in allarme Salvini. «Noto troppi accoppiamenti tra Pd e 5Stelle, troppa sintonia - commenta -. Dicono no all'autonomia, no alla flat tax, no al nuovo decreto sicurezza. Mi spieghino se vogliono andare d'accordo col Pd oppure con gli italiani, rispettando il patto di governo». L'irritazione è cresciuta sicuramente dopo il caso Siri, ma non solo. I grillini hanno fatto sapere che vogliono un vertice di maggioranza prima del prossimo Consiglio dei ministri per confrontarsi proprio su temi come le tasse e l'autonomia regionale. Il confronto ci sarà, replica Giancarlo Giorgetti, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio e braccio destro di Salvini a via Bellerio. «Salvini e Di Maio? Si vedranno già lunedì prossimo». Il riferimento è al Consiglio dei ministri dove sono previste nomine in scadenza e l'approvazione del decreto sicurezza. I due protagonisti del braccio di ferro però non si incontrano e si lanciano provocazioni su Twitter. Non serve un confronto, fa sapere il capo della Lega. E soprattutto non c'è bisogno di sventolare ogni volta lo spauracchio di un cambio di governo dopo il 26 maggio.
Anche Giorgetti mostra tranquillità: «Paura del voto a settembre? Non ho mai paura quando il popolo si esprime. Dopo il 26 se si litiga così non si va avanti». E il sottosegretario nega di essere candidato a fare il Commissario europeo ma conferma: «Non resto in questo ruolo fino a fine legislatura».
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