«Ovviamente nemmeno stavolta ha detto nulla a noi parlamentari, ma ha dovuto portare la nostra linea perché sa che non tiene in gruppi, anche se lui vuole andare a votare». Da una Camera semideserta l'analisi di un eletto storico del M5s, già alla seconda legislatura, punta a ridimensionare la portata dell'incontro tra Giuseppe Conte e Mario Draghi. In particolare, le riflessioni si concentrano su un passaggio delle dichiarazioni che Conte ha concesso ai giornalisti lasciando Palazzo Chigi. Una domanda è sullo stato di emergenza. Il leader dei Cinque stelle risponde: «Ci sembra necessario pervenire alla proroga dello stato di emergenza». Parole che risuonano nel M5s come un invito a Draghi a rimanere a Chigi, una rassicurazione ai peones spaventati dalle urne, pronti a impallinare Conte nell'urna del Quirinale. Proroga che dovrebbe arrivare ufficialmente già oggi dopo un Consiglio dei ministri convocato ad hoc. Il leader stellato riceve in serata anche la telefonata di Matteo Salvini, promotore di un tavolo con tutti i partiti per sbrogliare la matassa del Colle. E, sempre dalla Lega, fanno riflettere le parole di Giancarlo Giorgetti, vicesegretario del Carroccio e ministro dello Sviluppo Economico. A dimostrazione della frammentazione del Parlamento, con il M5s ormai in ordine sparso, l'esperto Giorgetti tratteggia uno scenario sorprendente a occhi ingenui. «Lo sa anche Berlusconi: non bastano i voti del centrodestra per eleggerlo al Colle. Serviranno dei voti del Pd o del M5S ed è anche possibile. La volata non è ancora entrata nel vivo», dice il titolare del Mise alla presentazione del libro del grillino Vincenzo Spadafora a Roma. Con il voto segreto niente è impossibile, soprattutto in una situazione balcanizzata come quella attuale, è il ragionamento di Giorgetti. Il leghista esclude un ritiro di Draghi dalla politica. «Faccio fatica a immaginare Draghi che a inizio febbraio non sia né a Palazzo Chigi né al Quirinale. Quello sarebbe un problema. Questa equazione si risolve quando Draghi dirà qualcosa. Credo sia difficile non stia da nessuna parte», prevede. Insomma, con un altro presidente della Repubblica, Draghi rimarrà al suo posto, questa è una delle poche certezze in un quadro politico in subbuglio.
Giorgetti non esagera quando evoca franchi tiratori nel Pd e nel M5s. Infatti adesso la priorità di Conte è evitare che la sua leadership si infranga sul voto segreto per il Quirinale. Perciò manda messaggi rassicuranti ai parlamentari impauriti dal voto. Per l'avvocato un'ora e mezza di colloquio con l'ex banchiere centrale, un «pro forma per far vedere che anche lui incontra Draghi» per le malelingue interne. Piantate alcune bandierine per marcare l'identità del M5s. Con Draghi Conte parla di manovra e chiede di estendere il superbonus, però dopo il faccia a faccia non può eludere la domanda sul Quirinale. «Salvini non mi ha ancora chiamato, ma io stesso ho auspicato un confronto con i leader, adesso approviamo la legge di bilancio, un attimo dopo sarà importante il confronto sul Quirinale», dice con i giornalisti uscendo da Palazzo Chigi. Anche Conte vorrebbe una maggioranza larga e una votazione indolore, per limitare i danni che potrebbero derivare dai gruppi pentastellati che ormai si muovono in ordine sparso. L'auspicio è quello di un «ampio consenso» per una «personalità che possa rappresentare l'unità nazionale».
Proprio dai «suoi» gruppi arriva uno
sfottò al presidente del M5s. Un deputato ricorda un'intervista del 20 novembre, rilasciata da Conte al Fatto Quotidiano: «Aveva chiesto un incontro a Draghi in un'intervista al Fatto, lui lo ha ricevuto quasi dopo un mese».
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