Politica

Il giudice allontana l'avvocatessa con il velo

Gianpaolo Iacobini

Bologna Col velo all'udienza? Il giudice le chiede di toglierlo, lei si rifiuta e lascia l'aula.

Al Tar di Bologna la legge non si discute. Si rispetta. Il presidente della II sezione, Giancarlo Mozzarelli, lo ha ricordato ad una praticante avvocato, Asmae Belfakir, che con una collega s'apprestava a discutere un ricorso. Lei, venticinquenne di origini marocchine residente a Modena con la famiglia, in tasca una laurea in giurisprudenza col massimo dei voti conseguita discutendo una tesi sui precetti della legge islamica in fatto di integrità del corpo delle donne, s'è opposta. «Ho partecipato a decine di udienze - ha poi spiegato ai giornalisti - ma nessuno mi aveva mai chiesto di levare il velo. Stavolta, sebbene fossi a volto scoperto, il giudice mi ha chiesto di toglierlo per rispettare la cultura e le tradizioni occidentali. Ed io me ne sono andata».

È invece rimasto lontano da taccuini e telecamere il presidente della sezione, che ha affisso sulla porta della sua stanza una stampa dell'articolo 129 del codice di procedura civile, secondo il quale «chi interviene o assiste all'udienza non può portare armi o bastoni e deve stare a capo scoperto ed in silenzio». «Nei confronti di quel giudice vanno presi provvedimenti», attacca la praticante avvocato modenese. Sul caso è intervenuto anche il presidente del Consiglio di Stato Alessandro Pajno, che guida il Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa, competente per i procedimenti disciplinari per i magistrati di Tar e Consiglio di Stato. Pajno ha chiesto una «relazione circostanziata sull'accaduto ai fini di una compiuta valutazione dei fatti».

Non è la prima volta. Il 14 ottobre del 2011 un caso analogo a Torino: durante un'udienza penale il presidente della I sezione, Giuseppe Casalbore, aveva allontanato un' interprete che non voleva rinunciare al velo. Finì con la richiesta di un parere al Csm, perché fossero impartite ai giudici «indicazioni per una condotta uniforme e rispettosa dei diritti individuali della persona».

Quegli stessi che nel 2015 il Tribunale di Milano ha ritenuto essere rispettati anche quando sia vigente il divieto di indossare il velo in uffici aperti al pubblico: «Un sacrificio proporzionato e giustificato da un fine legittimo, quello della pubblica sicurezza».

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