Ieri è stato un momento storico per la Turchia. Il capo di Stato, Recep Tayyip Erdogan, ha prestato giuramento davanti al Parlamento per il suo terzo mandato presidenziale. Il leader turco, dopo aver vinto le elezioni al ballottaggio del 28 maggio, ha esteso il suo potere ventennale per altri cinque anni. Erdogan, 69 anni, ha affermato davanti ai 600 deputati eletti il 14 maggio «di svolgere le sue funzioni in modo imparziale». «Io, in qualità di presidente - ha dichiarato - giuro sul mio onore di salvaguardare l'indipendenza dello stato, di rispettare la costituzione, lo stato di diritto, la democrazia, i principi e le riforme di Ataturk e i principi della repubblica laica».
Durante la cerimonia di inaugurazione al palazzo presidenziale, Erdogan ha poi assunto un tono accomodante. «Abbracceremo tutti gli 85 milioni di persone indipendentemente dalle loro opinioni politiche... Mettiamo da parte il risentimento», ha affermato. «Insieme, dobbiamo provare a costruire il futuro imparando dagli errori del passato». E poi ha promesso: «Lavorerò per proteggere il Paese».
Parole concilianti, che arrivano dopo la dura campagna elettorale, ma che sottolineano anche la ritrovata centralità della Turchia, nonostante le accuse di autoritarismo e i rapporti tesi con Europa e Stati Uniti. All'evento hanno partecipato una trentina di leader mondiali e c'è stata la rappresentanza di circa 70 Paesi e anche di organizzazioni internazionali, tra cui l'Organizzazione degli Stati turchi, la Nato e l'Organizzazione per la cooperazione islamica. C'erano anche il presidente venezuelano Nicolas Maduro, il primo ministro ungherese Viktor Orban e quello armeno Nikol Pashinyan. E soprattutto il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, che si fermerà anche oggi per chiedere il via libera all'ingresso della Svezia nell'Alleanza. Erdogan ha vinto il ballottaggio del 28 maggio contro una potente coalizione di opposizione, nonostante le previsioni dei sondaggi, la crisi economica e le severe critiche seguite al devastante terremoto di febbraio che ha ucciso più di 50mila persone. La sua alleanza detiene anche la maggioranza nel parlamento.
Il leader turco è diventato primo ministro nel 2003 quando il suo partito, il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP) ha vinto le elezioni alla fine del 2002 dopo la peggiore crisi economica della Turchia dagli anni 70. Nel 2014 è stato il primo presidente eletto dal popolo del Paese e poi designato di nuovo nel 2018, dopo il referendum costituzionale del 2017 con il quale ha aumentato i propri poteri. Erdogan ora avrà il compito di gestire la crisi economica caratterizzata da un'inflazione galoppante e il crollo della lira. L'inflazione è arrivata al 44% ad aprile, in parte a causa della sua politica non ortodossa di tagliare i tassi di interesse per stimolare la crescita. E la lira ha ancora toccato i minimi storici proprio nei giorni successivi al voto.
Ma non finiscono qui le sfide che dovrà affrontare, a partire dalle tensioni con l'Occidente. Anche se la presenza ampia dei capi di stato alla cerimonia è il segnale del ruolo sempre più strategico di Ankara nel mondo. Ora però gli alleati della Nato stanno aspettando con ansia che la Turchia dia il via libera al tentativo della Svezia di aderire all'Alleanza.
Erdogan ha esitato ad approvare la domanda, accusando Stoccolma di dare rifugio a «terroristi» del Pkk, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan, ritenuto «fuorilegge» da Ankara. Da parte di Stoccolma la speranza è di poter entrare nell'Alleanza in tempo per il vertice Nato di Vilnius a luglio.
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