Dottor Carlo Nordio, sul «Giornale» Silvio Berlusconi cita Calamandrei per dire che il peggior pericolo per lo Stato è condannare un innocente. La pensa così anche lei?
«Certo. Delle due funzioni del processo penale, non lasciare impunito il delitto e non condannare l'innocente, la seconda è di gran lunga la più importante, non solo per il cittadino, ma proprio per lo Stato. Lo Stato può anche sopravvivere sia pur malamente se non riesce a punire i crimini. Ma se condanna gli innocenti perde legittimazione etica e politica, si sgretola e spesso soccombe in modo violento alla ribellione popolare o alla rivoluzione».
La separazione delle carriere, chiesta dal referendum di Lega e Radicali sostenuto da Fi, può garantire meglio la terzietà del giudice, non più collega del pm che sostiene l'accusa?
«Si, ma non solo. La separazione delle carriere è consustanziale al sistema processuale accusatorio, cosiddetto alla Perry Mason, che noi abbiamo adottato in modo imperfetto con l'attuale codice Vassalli. Nei Paesi dove questo sistema è vigente, dagli Usa al Regno Unito, dal Canada all'India ecc. non esiste la possibilità di transitare dall'una funzione all'altra come da noi. Dirò di più. Nel sistema americano il giudice può diventare pm perché questa carica è elettiva. E se questo District Attorney infila una serie di indagini costose e sbagliate viene mandato a casa, mentre da noi viene promosso, com'è accaduto nel caso Tortora e in tanti altri. In conclusione la separazione delle carriere è necessaria ma non sufficiente per un sistema realmente liberale».
Perché?
«Perché dobbiamo scegliere tra i due sistemi inglese e americano, e coniugare poteri e responsabilità: in Gran Bretagna il pm è l'avvocato dell'accusa, e non dirige le indagini, affidate a Scotland Yard: mentre in Usa il Procuratore è il capo della polizia giudiziaria, come da noi, ma ha una responsabilità elettorale. L'Italia è l'unico paese al mondo dove il pm ha le garanzie del giudice e i poteri del superpoliziotto, senza rispondere a nessuno».
Il libro «Il Sistema» di Palamara-Sallusti ha confermato negli italiani l'idea che un pregiudizio politico-ideologico possa essere alla base di molte inchieste e di molti processi. È così?
«È vero che ha consolidato questo pregiudizio. In realtà credo che più che da motivazioni politiche o ideologiche alcune inchieste costose e infondate contro politici siano state ispirate e da protagonismo personali. Non so quale delle due ipotesi sia peggio».
Secondo i principi garantisti, che Berlusconi illustra nel suo intervento sul nostro quotidiano, dopo un'assoluzione non ci dovrebbe essere possibilità di appello. Lei come la pensa?
«Si, sono d'accordo, anche qui per coerenza con il sistema processuale anglosassone, dove dopo l'assoluzione non c'è l'appello del pm, salvo casi rari dove però devi rifare tutto il dibattimento daccapo. Da noi invece puoi condannare con le stesse carte sulla base delle quali il giudice precedente aveva dubitato al punto da assolvere. E questo contrasta, come ha ricordato Berlusconi, con il principio costituzionale della condanna al di là di ogni ragionevole dubbio».
E sulla prescrizione, anche rispetto alla riforma Cartabia, qual è la sua posizione?
«La riforma Bonafede era una mostruosità giuridica che tra l'altro avrebbe prolungato i processi all'infinito, mentre l'Europa condizionava gli aiuti a una giustizia più rapida. La Cartabia ha fatto quindi una sorta di miracolo, o di gioco di prestigio. Non poteva umiliare i grillini al punto da intervenire sulla loro bandiera, cioè sulla prescrizione, che estingue il reato; e allora ha raggiunto lo stesso risultato intervenendo con l'improcedibilità che estingue il processo. Questo creerà enormi problemi applicativi, ed è logico che molti giuristi abbiano sollevato perplessità. Ma intanto l'Europa è rimasta soddisfatta, i soldi stanno già arrivando, e questo era ciò che contava e che conta».
Come si risana la magistratura, ora che la sfiducia degli italiani ha raggiunto massimi livelli?
«In tempi brevi con il referendum: se vincesse, sarebbe un messaggio cui il Parlamento, magari il prossimo perché con questo è impossibile, non potrebbe sottrarsi. In tempi più lunghi con una radicale rivoluzione copernicana della giustizia, compresa la selezione dei magistrati e il sorteggio dei componenti del Csm. Un sorteggio non tra i passanti, ma nell'ambito di un canestro composto da magistrati già valutati tre volte, da docenti universitari di materie giuridiche e dai componenti dei consigli forensi e delle camere penali. Tutte persone, per definizione, intelligenti e preparate, ma svincolate dal legame elettorale con i magistrati sui quali si dovranno pronunciare».
Il procuratore di Milano Greco dice che oggi la magistratura è più corporativa di una volta e che il caso Storari-Davigo è stato un attacco al suo ufficio. Condivide?
«Greco è un bravissimo magistrato, ma è come il duca di Buckingham nel Riccardo III di Shakespeare: uno dei primi a spianare la strada alla autoreferenzialità della magistratura, e uno degli ultimi a sentire il peso della sua tirannide. Il pool di Milano avrà avuto alcuni meriti, ma è stato il promotore di quella autocertificazione di virtù della magistratura, nella sua funzione palingenetica e salvifica della democrazia, che oggi si critica.
Tutti ricordiamo la bravade televisiva quando i pm di Milano, compreso Greco, protestarono contro il decreto Biondi. Fui l'unico pm a denunciarne i pericoli, e per tutta risposta fui convocato dai probiviri dell'Anm per renderne conto. Li mandai al diavolo, ma Greco, che è persona molto intelligente, avrebbe dovuto capirlo allora».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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