«Sì al blocco navale, ma niente impiego di personale italiano sul suolo libico»: è questo il pensiero dell'ammiraglio Giuseppe De Giorgi, ex Capo di Stato Maggiore della Marina Militare.
Si parla di un blocco navale di fronte alle coste libiche. La cosa è fattibile?
«Certamente. La soluzione migliore sarebbe quella di espandere l'area di operazione di Mare Sicuro e di estendere la protezione delle nostre navi alle unità della Marina/Guardia costiera libica. È la soluzione più efficace e rapida».
Quali sono gli eventuali rischi dell'operazione?
«Il rischio è di non mettere in campo le forze necessarie sotto il profilo quantitativo e qualitativo sin dalle prime fasi dell'operazione, unitamente a regole d'ingaggio inadeguate. Il resto è gestibile».
Al-Serraj ha smentito accordi per far entrare navi militari italiane in acque libiche. Che pensa sia successo?
«Qui non si tratta di sottrarre sovranità nazionale, ma di sostenere la Libia nella riacquisizione della sua sovranità sulle proprie acque territoriali. Del resto non parliamo di inviare un contingente militare sul suolo libico, con i relativi campi trincerati, controllo del territorio, reparti di Force Protection, ecc. Una simile ipotesi metterebbe in difficoltà Al-Serraj. Le navi, invece, sono uno strumento più adatto al contesto libico».
Le nostre navi sono adatte a compiti del genere?
«Assolutamente sì e lo hanno dimostrato ampiamente. Le Fremm e le navi anfibie sono le più adatte. Fondamentali sono anche i sommergibili per la sorveglianza discreta delle coste».
Secondo lei che assetti si useranno?
«Direi che il mix inizialmente impiegato in Mare sicuro sia la combinazione ottimale. Il Capo di Stato Maggiore della Marina dovrebbe essere libero di scegliere. Il mix ideale: una nave anfibia a sostegno della Marina libica, una Fregata Fremm come nave comando, una unità per il controllo dello spazio aereo (Horizon o classe De La Penne), un classe Comandanti. In sintesi 4 unità mediamente presenti in zona e due sommergibili. Potrebbero avvicinarsi quando necessario, mantenendo una presenza discreta. Spero, invece, non si voglia tentare la strada di un comando a terra o di un contingente sul suolo libico. La presenza stabile di nostre truppe sul terreno offrirebbe dei facili bersagli ad attacchi terroristici (ricordiamoci di Nassiriya), oltre a dare il destro ad Haftar di minare la credibilità interna di Serraj agli occhi delle milizie che ancora lo sostengono. La presenza di soldati italiani sul suolo libico sarebbe un regalo ad Haftar. Le navi, al contrario, possono essere una presenza immanente, visibili e minacciose quando serve e altrettanto rapidamente operare oltre in modo discreto e non invasivo».
Pensa sia la strada giusta o crede che per bloccare l'immigrazione incontrollata serva altro?
«La strada è senz'altro quella giusta e deve essere considerata come uno degli elementi di un piano più ampio che comprende le iniziative lodevoli prese dall'Italia nel Fezzan e la concertazione con gli alleati e con i Paesi amici dell'area».
Perché, finora, il ministro Pinotti non si è mai espresso sulla questione salvataggi? Alla Marina vige il silenzio. L'argomento è tabù. Che c'è da nascondere?
«Non comprendo l'inversione di tendenza avvenuta dopo il mio avvicendamento. Io avevo aperto la Marina alla società civile e ai media. Certo, il rischio di essere attaccati anche personalmente per gelosie o altri moventi aumenta, ma il Capo di Stato Maggiore esiste in funzione della Marina, non viceversa. Gli italiani hanno il diritto di essere informati di quello che fa la nostra Marina e, in generale, i nostri militari sul campo. Serve più informazione e meno demagogia. Meglio il silenzio ad annunci a fini mediatici di politica interna, puntualmente smentiti da una superiore autorità o dai fatti il giorno dopo».
I Cocer si stanno lamentando perché abbiamo pochi mezzi, si sta riducendo il personale e non abbiamo pezzi di ricambio per le navi. Come si può operare in questo modo?
«È un problema gravissimo, che ho segnalato alle commissioni di Camera e Senato già nel 2013. Servono più fondi per l'esercizio ed è necessario che la suddivisione delle risorse fra le tre Forze armate sia stabilita dal ministro dopo aver sentito i Capi di Stato Maggiore e non dall'arbitrio del Capo di Stato Maggiore della Difesa, troppo spesso condizionato dal colore della sua giubba».
Abbiamo scritto nei giorni scorsi che i Predator da tempo sorvolano la Libia. Abbiamo tutte le informazioni su punti di partenza, trafficanti di uomini. Perché non si è intervenuti finora?
«Mancanza delle condizioni a contorno.
Il premier Gentiloni sta mostrando coraggio e lucidità politica. Spero che, per il bene generale, il Parlamento sostenga questa iniziativa. Mostrare incertezze adesso ci farebbe perdere ulteriormente credibilità nel dossier Libia e non solo».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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