La casta e l'antipolitica? Di certo non le ha inventate Beppe Grillo. Ma pochi punterebbero il dito contro i padri della Patria, quelli che nei primi vent'anni della Repubblica hanno costruito le fondamenta dello Stato. Lo fa Filippo Maria Battaglia, giornalista di SkyTg24 , nel suo Lei non sa chi ero io!-La nascita della Casta in Italia (Bollati Boringhieri). Grazie a dati inediti, materiale sepolto negli archivi della Camera, documenti scovati all'Università della California e cronache di grandi firme come Indro Montanelli e Fortebraccio. Prima di tutto il termine «casta». È stato don Luigi Sturzo ad associarlo per primo alla politica. Considerata «la tendenza di dare posti di consolazione a ministri, sottosegretari e deputati fuori uso», scrive nel 1950 il fondatore del Partito popolare, i nostri parlamentari sono ormai impegnati a «voler creare o consolidare una casta». Le prime legislature sono un'escalation di scandali, ricatti, impunità, inchieste a orologeria, giustificazioni paradossali. Basta spulciare i numeri. Tra il 1948 e il 1963 la Camera riceve ben 1.154 richieste di autorizzazione a procedere. Una media di 384 a legislatura, molto più dell'intera Prima Repubblica. Tutti i partiti sono coinvolti, ma il Pci è in testa.
Nel saggio c'è anche la nota vicenda del «bolero» che tolse il sonno a un Oscar Luigi Scalfaro 32enne. «È uno schifo! (...) Le ordino di rimettersi il bolero!», intima alla malcapitata Edith Mingoni, «colpevole» di essere un po' troppo scollata. Meno nota è la reazione all'offesa del padre della signora. Un colonnello pluridecorato, che fa recapitare al Parlamento una richiesta di sfida a duello. Ma il futuro capo dello Stato declina impacciato: «Credo solo nelle leggi di Dio e in quelle dello Stato». Suscitando l'ira di Totò che sull' Avanti gli scrive una lettera dal titolo «Siamo uomini o...».
TAFFERUGLI IN AULA
È il 1953 e la legge elettorale voluta dal governo De Gasperi scatena proteste che farebbero impallidire qualunque grillino. «L'Aula - riporta il libro - diventa un ring: grida, improperi, banchi divelti e scazzottate. Diversi parlamentari fanno a botte, ci sono contusi da una parte e dall'altra, mentre il presidente (Meuccio Ruini, ndr ) viene colpito da una scheggia di legno (...). Fortuna che non ci sono fotografi, scrive nel suo diario Andreotti, che durante la seduta si schermisce con il cestino della cartaccia, trasformato in un elmetto protettivo. Il resoconto dei danni stilato dal Senato è impietoso. Per rattoppare Palazzo Madama occorre più di un milione di lire (poco meno di ventimila euro di oggi). Lunghissimo l'elenco delle riparazioni: decine di sportelli di legno divelti, centinaia di cerniere di ottone scardinate, pavimento lesionato in più punti dai lanci degli oggetti, balaustra della galleria rovinata, sedie e sgabelli spaccati».
L'AFFAIRE SOTGIU
Giuseppe Sotgiu è un comunista di spicco. Siamo nel 1954, Sotgiu è anche avvocato difensore di Silvano Muto, uno dei giornalisti che fanno scoppiare lo scandalo Montesi. Scrive Battaglia: Sotgiu finisce in prima pagina «fotografato con la moglie mentre con l'auto blu esce da una casa di appuntamenti. (...) L'accusa (...) è di aver assistito da spettatore a scene di sesso della consorte con un minorenne, debitamente pagato. Il Pci, imbarazzatissimo, scarica il penalista». Ma ai giornali dell'epoca non sfugge la «doppia morale» dei comunisti. Anche perché, continua il saggio, «lo stesso Sotgiu durante il processo si era scagliato contro il putrido e corrotto ambiente» del caso Montesi.
DOSSIER E PETTEGOLEZZI
Le lotte intestine della Dc producono pile di dossier. Il Sifar, servizio segreto militare, compila per lo più a uso e consumo del presidente della Repubblica Giovanni Gronchi oltre 150mila fascicoli su politici e funzionari. Ma Gronchi è lui stesso protagonista del gossip d'epoca. Ecco un esempio: «I romani - racconterà il settimanale Abc - parlano spesso della porticina che Gronchi ha fatto aprire su un lato del Quirinale, in via dei Giardini. Si mormora che di lì passino le amicizie femminili del presidente (...). Amicizie che costano al Parlamento diversi provvedimenti ad personam: uno di questi sarà ribattezzato legge Pompadour proprio perché destinato a una delle sue favorite». Una delle vittime del dossieraggio è il cattolicissimo Mario Scelba.
Il settimanale filomissino Lo Specchio pubblica una sua foto in un bar in compagnia di una certa «signora Mariella». Il gossip non sfugge alla moglie dell'allievo di don Sturzo. Che, raccontano le cronache, si presenterà in Aula con un cerotto in testa.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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