Roma«Ci sono tre maggioranze», è diventato il tormentone di Forza Italia su Matteo Renzi. Come dire, non può reggere un esecutivo che vuole fare le riforme con una coalizione, eleggere il Presidente della Repubblica con un'altra e poi governare con l'alleanza doc. Perché in più occasioni questa ultima da sola non è bastata. Forza Italia ha contribuito a non mandare sotto l'esecutivo, ma d'ora in poi potrebbe non farlo più. E' successo soprattutto in occasione della Legge di Stabilità al Senato. Se il Nazzareno si romperà definitivamente, Renzi potrà contare solo sulle sue forze. In particolare sulle riforme economiche sgradite alla sua maggioranza e al suo partito.
Tra i provvedimenti a vario titolo ancora in Parlamento c'è il Jobs Act. Proprio ieri il governatore di Bankitalia Ignazio Visco ha promosso la riforma, grazie alla quale «l'Italia ha mosso passi importanti nella giusta direzione». Bene, in particolare, «l'aumento della flessibilità in entrata e in uscita, accompagnato da un ampliamento delle misure a sostegno dei lavoratori disoccupati».
I decreti attuativi del Jobs act devono ancora passare dalle commissioni Lavoro di Camera e Senato. Compreso quello con il contratto a «tutele crescenti», cioè la riforma dell'articolo 18, sgradita alla sinistra del Pd. Poi quello con i nuovi ammortizzatori sociali. Temi non da poco.
Il voto non è vincolante. Quindi il governo potrebbe tranquillamente andare sotto, ma fare passare comunque il provvedimento. Una sconfitta politica alla quale, però, difficilmente sopravvivrebbe, visto che quella del lavoro è la principale riforma che Renzi sta spendendo in Europa.
Le spinte nella maggioranza sono opposte. Il Pd cercherà di fare passare nelle raccomandazioni una marcia indietro sui licenziamenti collettivi, facilitati dalla legge. Poi il principio di proporzionalità tra l'infrazione del lavoratore e la sanzione prevista. Dall'Ncd arrivano spinte opposte. Dopo l'impuntatura su Matterella, salvo ripensamenti dell'ultimo momento, Renzi dovrà trovare la quadra esclusivamente dentro i partiti rappresentanti al consiglio dei ministri.
Un capitolo chiuso, almeno formalmente, al quale se ne aggiunge uno ancora apertissimo, l'Investment Compact, pacchetto di misure per la competitività delle aziende, il cui piatto forte è la riforma delle banche popolari. Se sul Jobs act l'esecutivo ha scricchiolato a sinistra, con questa riforma i problemi potrebbero arrivare dal Nuovo centrodestra, contrario a penalizzare il sistema delle banche popolari e intenzionato a non votare la conversione del provvedimento, perlomeno «non a scatola chiusa».
Scoglio superabile, assicuravano ieri fonti della maggioranza. In altre parole, se Renzi metterà la fiducia, i dubbi del Ncd rientreranno.
La fiducia e la minaccia di fare cadere il governo, nel nuovo scenario politico (sempre salvo cambiamenti radicali nelle battute finali del voto per il Quirinale) diventeranno la norma. A meno che il premier non decida di rivolgersi esclusivamente a sinistra, trasformandosi in una copia di Tsipras.
Renzi e il ministro ai rapporti con il Parlamento Maria Elena Boschi, dovranno quindi stare attenti alle imboscate. Ci vuole poco a fare mancare il numero legale, come successo spesso nella sessione di bilancio. Forza Italia sarà meno disponibile ad aiutare il premier, anche sulle riforme necessarie ad accontentare l'Europa.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.