Ma stringi stringi il problema è sempre lo stesso, molto pratico: che succede se Putin ci chiude il gas? Come faremo nei prossimi mesi a riscaldare le case e tenere aperte le industrie? Riusciremo mai a diventare indipendenti? La caccia del governo alle fonti alternative è partita da qualche settimana: trivellazioni in Adriatico, raddoppio Tap, contatti con l'Azerbaijan, stoccaggi, carbone se sarà il caso. E ora, dopo gli abboccamenti con l'Algeria, ecco il momento di giocare la carta del Golfo. In mattinata Mario Draghi chiama infatti l'emiro del Qatar e gli chiede di incrementare «la collaborazione» aprendo i suoi rubinetti: oggi Doha è il nostro terzo fornitore. Una conversazione telefonica definita «cordialissima», uno scambio di vedute, raccontano a Palazzo Chigi, «concentrato sull'eccellente partenariato bilaterale che continua a rafforzarsi negli anni, sulla valutazione della crisi in Ucraina» e, appunto,«sull'energia». E proprio mentre il premier parla con lo sceicco Tamin Bin Hamad Al Thani, Luigi Di Maio è in viaggio per Doha accompagnato dall'amministratore delegato dell'Eni Claudio Descalzi. Stessa formazione che giorni fa era volata ad Algeri, stessa missione: il gas. «Lavoriamo ad alternative a gas russo».
Oggi il ministro degli Esteri incontrerà le massime autorità del Qatar, sperando di portare a casa qualche buona notizia. «Dobbiamo agire in fretta per arginare i potenziali effetti della guerra e proteggere le famiglie italiane», dice Di Maio. Intanto Draghi a Bruxelles vedrà Ursula von der Leyen in un colloquio bilaterale che anticiperà il vertice dei capi di Stato e di governo della Ue, che si terrà giovedì e venerdì a Versailles. Le diplomazie lavorano pure per organizzare un faccia a faccia con il tedesco Olaf Scholz, mentre sono già in agenda una serie di iniziative, di incontri e di tavoli. Il tema ufficiale del summit francese è la revisione del Patto di stabilità e delle sue regole sui bilanci, ma se ne parlerà soprattutto nell'ottica delle conseguenze dell'invasione russa in Ucraina: aiuti economici e militari, migrazioni, assistenza ai profughi e i contraccolpi economici per i membri dell'Unione, a partire proprio dall'energia. Su questo versante, Germania e Italia sono i Paesi più a rischio. Draghi insisterà sulla «necessità di una strategia comune»: già a settembre ad Atene durante un vertice Euromed aveva proposto di muoversi con acquisti collettivi per sfuggire ai ricatti di Mosca.
Poi c'è la questione del tipo, e del livello, di assistenza bellica da fornire a Kiev. Esclusa la chiusura dello spazio aereo per non entrare direttamente in guerra con la Russia, restano i soldati ai confini e le armi agli ucraini. E a proposito, che cosa manderemo noi agli uomini di Zelensky? Missili, carri, fucili? Non si sa, perché per motivi di sicurezza il Copasir ha deciso all'unanimità di secretare non solo la lista degli armamenti ma anche i modi di consegna. «Il ministro della Difesa Lorenzo Guerini ci ha informato tempestivamente e in modo esauriente, fornendo l'elenco del materiale destinato all'Ucraina già durante l'audizione di mercoledì scorso, il giorno dopo il voto delle Camere», spiega il presidente del comitato Adolfo Urso.
La riservatezza è dovuta al rispetto della legge e alla «coerenza con analoghe modalità adottate dagli alleati», oltre alla necessità di «tutelare i nostri militari impegnati sul terreno«. Insomma, stavolta nessuna polemica.
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