Il governo dei tamponi: anche il rimpasto al buio potrebbe essere letale

Dal decreto al riassetto, solo pezze. Renzi: "Semmai chiederei il cambio del premier"

Il governo dei tamponi: anche il rimpasto al buio potrebbe essere letale

Per avere una fotografia il più possibile imparziale del decreto «rilancio» e della situazione in cui si dibatte questo benedetto Paese si deve parlare a Montecitorio con chi è nel mezzo, un passo fuori dal governo e un passo fuori dall'opposizione. Per essere più chiari, sono quelli che alla bisogna dovrebbero intervenire per salvare Conte. «Il rilancio sussurra Mariastella Gelmini dietro la mascherina in uno dei corridoi che costeggiano il Transatlantico è un tampone, un cerotto. Nulla di più. E proprio non capisco questa storia del dare senza avere che caratterizza il rapporto tra Forza Italia e Conte». Due passi nel Palazzo e trovi un altro lombardo, Maurizio Lupi, eletto con gli azzurri che è a dir poco perplesso. «Io non capisco perché il Cav si chiede voglia fare il responsabile con un governo di irresponsabili?! Io ho dieci deputati e non posso fare molto, ma questa è una pioggia di soldi, per puro assistenzialismo. Pure le biciclette! Tutti debiti per tamponare i prossimi due mesi. E poi quando i soldi finiranno, che si fa? Altro che rimpasto, qui fra un po' saranno le rivolte sociali a cambiare il quadro politico, dimostrando che noi politici siamo dei falliti perché non siamo capaci di gestire i processi ma li subiamo». Ti sposti sull'altra ala di Montecitorio e trovi l'ex ministro della Sanità, Beatrice Lorenzin, ex forzista eletta nel Pd, che veste i panni della Cassandra. «Io, grazie all'esperienza maturata, - racconta - prevedo le cose due settimane prima che succedano. E ora vedo nero. Glielo dico, ma non ascoltano. Ora parlano di rimpasto, ma secondo la liturgia invalsa da quando in questo Palazzo è entrata la politica, il rimpasto per il governo è solo un tampone. Anzi, la Storia insegna che è l'anticamera della crisi».

Con l'epidemia l'Italia è diventata tutto un «tampone». La parola, infatti, è declinata in tutte le forme e in tutti i suoi significati. Anche i più reconditi. Si parla di tamponi perché mancano i reagenti sul piano sanitario. Si ricorre, appunto, al lessico misure tampone, per descrivere gli interventi che, almeno sulla carta, dovrebbero mettere una parte dei nostri concittadini a riparo della «crisi» nei mesi di aprile e di maggio. E ora, l'ultimo «tampone» è «il rimpasto»: un innesto di nuovi ministri che dovrebbe ridare ossigeno ad un governo, che per le menate fatte e per il tempo perso, è finito in una sorta di terapia intensiva. La notizia, altro portato del Covid-19, è finita sui giornali sull'onda dei virgolettati di una serie di aspiranti ministri anonimi (l'epidemia sulla stampa nazionale ha spazzato via anche la regola giornalistica delle «cinque W»), solo che a sfogliare gli annali più che una boccata d'aria per il governo sarebbe una pietra tombale. Il «rimpasto» più riuscito, infatti, fu quello che permise all'Andreotti sesto di sopravvivere appena 8 mesi in più (furono sostituiti 5 ministri della sinistra dc, tra i quali Mattarella). Figurarsi gli altri.

Il «rimpasto», nei fatti, è un surrogato di «crisi» di governo, operazione pericolosissima durante una fase delicata come questa. Perché metti un cerotto qua, un cerotto qui e un altro là, il governo rischia di assumere le sembianze di una Mummia. Sommando, infatti, provvedimenti tampone e cambi di ministri, si rischia di imboccare una spirale letale che fa inorridire anche una persona mite come il professor Cassese, con un unico obiettivo: rubare tempo al tempo. In fondo è questo lo scopo: il governo è già morto, ma dato che non ci sono al momento altri governi possibili, le esequie sono state rinviate a data da destinarsi. Le mirabilia descritte ieri dal premier (e che ancora debbono essere messe nero su bianco sulla Gazzetta Ufficiale), servono proprio a nascondere lo stato dei lavori: sono, appunto, dei «tamponi» per strappare due-tre mesi nella speranza che la situazione si accomodi e non succeda l'irreparabile e, magari, il Governo risorga dalle sue ceneri. Solo che spesso la comunicazione di Palazzo Chigi eccede e, alla fine, cimentandosi nei calcoli sulle cose dette nella conferenza stampa dell'altro ieri da premier e ministri, si va ben oltre i 55 miliardi di euro che dovrebbero essere stanziati dal decreto. «Se la matematica non è un'opinione ironizza Renato Brunetta l'elicopter money virtuale del governo fa promesse che vanno dagli 80 ai 150 miliardi!». Promesse che potrebbero determinare cocenti delusioni. Ieri un certo G. Pinto ha inviato un messaggio da Londra al sottoscritto per chiedere: «Ma per caso non ci sarebbe qualche bonus pure per gli italiani all'estero?».

In queste condizioni è evidente che un «rimpasto» più che una mossa disperata, sarebbe un azzardo. Tant'è che tutti, a parte l'«anonima rimpasto», storcono il naso. «Se proprio devi accontentare qualcuno osserva pragmatico il sottosegretario grillino, Gianluca Castaldi è meglio giocare sul rinnovo dei presidenti delle commissioni parlamentari che sono in scadenza». Mentre un altro sottosegretario a Palazzo Chigi, il piddino Andrea Martella, è ancora più netto. «Ho parlato con il Quirinale racconta e lassù non pensano che ci siano le condizioni per un altro governo, per un esecutivo Draghi. Ci consigliano di fare di più, nella speranza che basti per risollevare il paese. Il rimpasto? Lasciamo stare, si creerebbero solo scontenti. Ci sono solo due opzioni: questo governo o le elezioni. Draghi potrebbe arrivare solo se si profilasse un disastro. Ma è un motivo in più per fare gli scongiuri». Se poi vai ancora più a sinistra, dalle parti di Leu, il capogruppo Federico Fornaro, quasi insorge: «Ma quale rimpasto! In queste condizioni, con la protesta che monta, ci manca solo che diamo l'impressione di litigare per le poltrone. Senza contare che i grillini sono stati fomentati da chi è stato fatto fuori dall'ultimo governo, tipo la Lezzi. Per cui se cambiamo altri ministri aggiungeremmo ai numeri dello scontento i possibili silurati. Pensiamo ad altro: il governo è blindato; Renzi è stato costretto a fare tre passi indietro; e noi abbiamo un'unica chance, che il decreto funzioni e non esploda il Paese».

E arriviamo a Renzi (nel tondo), a quello che sulla carta dovrebbe essere il più interessato al «rimpasto». «È una cazzata megagalattica ha spiegato ai suoi -: c'è stato il Conte Uno, il Conte Due e adesso che facciamo? Il rimpasto. Ma su! Se dovessi chiedere un rimpasto, chiederei il cambio del premier. L'unica misura davvero efficace di questo decreto è l'azzeramento dell'Irap che abbiamo chiesto noi. Nel provvedimento manca una visione.

Ora andiamo al confronto con Conte consapevoli che non bastano più misure tampone, che solo un accordo sul piano shock da 100 miliardi di investimenti nelle opere pubbliche, sul modello del ponte di Genova, ci darebbe un motivo valido per restare in questo governo».

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