Un vertice in ritardo. Come la manovra. L'inizio del summit risolutivo tra il premier Conte, i leader della maggioranza Salvini e Di Maio e i ministri Fraccaro e Tria con i suoi vice Garavaglia e Castelli era inizialmente previsto per le 20, ma è slittato di circa un'ora anche perché manca un qualsiasi accordo politico tra Lega e M5S sulle modalità per riportare il rapporto deficit/Pil dal 2,4% al 2,04 messo sul piatto per convincere Bruxelles a non avviare la procedura d'infrazione. Mancano tre miliardi, visto che i due firmatari del contratto di governo hanno già rinunciato a spese per 4 miliardi. «Le coperture ci sono», hanno assicurato da Palazzo Chigi perché «le risorse sarebbero state trovate nelle pieghe del bilancio dello Stato». Il sentiero è molto stretto: o si procede a tagli lineari ai bilanci dei ministeri o a una spending review, ipotesi sgradita alla Lega perché prefigura un incremento della pressione fiscale). Pare scongiurato un ulteriore intervento sulle misure-cardine.
L'incontro è stato preceduto da un consulto tra il presidente del Consiglio e i tecnici dell'Economia e da un pre-vertice tra lo stesso Conte, Di Maio e Salvini per cercare di sciogliere i nodi politici. Il capo politico pentastellato ha cercato di tenere il punto: sulle pensioni d'oro tagli dal 10 al 40% come contributo di solidarietà sulla parte eccedente i 90mila euro annui lordi. Il gettito sarà contenuto ma M5S potrà piantare un'altra bandierina e finanziare un fondo destnato a sostenere le pensioni più basse. Sull'ecotassa Carroccio verso la vittoria: bonus sulle auto non inquinanti e nessuna imposta aggiuntiva.
I due azionisti della maggioranza, infatti hanno già rinunciato parzialmente ai loro capisaldi ma non possono ammettere la marcia indietro rispetto alla linea inizialmente intransigente nei confronti della Commissione Ue. Il Carroccio ha «diluito» quota 100 con l'apertura delle finestre per i pensionamenti in ritardo rispetto al raggiungimento della soglia (tre mesi per il settore privato, sei per i dipendenti pubblici più altri due per gli insegnanti) oltre a penalizzare gli assegni erogati in anticipo. Questo sforzo vale oltre 2 miliardi sui 6,7 di costo della misura. Ieri il Movimento tramite fonti di Palazzo Chigi ha dovuto svelare ufficialmente il proprio ammainabandiera. Pur ribadendo che il reddito di cittadinanza «non ha subito alcuna variazione», ha stimato che tra partenza ad aprile e previsione statistica di un 10% di adesioni in meno si raggiunge quota 6,1 miliardi nel 2019 cui bisogna aggiungere un miliardo per i centri per l'impiego. Si arriva così a 7,1 miliardi dai 9 di dotazione iniziale.
Bruxelles ha spinto perché anche gli altri 3 miliardi si trovassero quanto prima e Palazzo Chigi è s'è mostrata sensibile al richiamo non foss'altro per evitare «sette anni di lacrime e sangue». L'incremento degli introiti previsti dalle dismissioni immobiliari, già cifrate all'1% del Pil (18 miliardi circa), non convince appieno i tecnici della Commissione. Non tanto perché quei proventi non si possano utilizzare (a differenza delle altre cessioni si possono computare pure a riduzione del deficit) ma per la loro natura straordinaria che non scongiura futuri incrementi del disavanzo.
Ovviamente il Tesoro, per non scontentare troppo i due vicepremier, punterebbe anche su una riduzione delle stime di crescita del Pil (ora fermo a un irraggiungibile +1,5% per il 2019).
Questo consentirebbe di rendere il deficit strutturale, quello depurato dagli effetti congiunturali, un po' più piccolo a causa del quadro macro negativo. «Non ci sarà un ulteriore passo indietro» perché non si devono «calare le braghe», ha spiegato Salvini. Si stringerà la cinghia.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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