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Governo e Camere fermi sulla giustizia: verso il referendum. Lega: "Banco di prova vedremo chi ci sta"

Mancano solo nove giorni alla decisione della Consulta sui quesiti proposti da Carroccio e Radicali. E non ci sono più i tempi per iniziative legislative tese a smontarli. La riforma più urgente è quella sulle regole di voto per il Csm.

Governo e Camere fermi sulla giustizia: verso il referendum. Lega: "Banco di prova vedremo chi ci sta"

Si scrive «riforme», si legge «referendum». È stato buon profeta, a marzo scorso, Giuseppe Rossodivita, responsabile della commissione Giustizia del Partito radicale, spiegando su questo quotidiano che «la giustizia in Italia si può riformare solo a colpi di referendum». E in effetti, 11 mesi dopo, i sei quesiti referendari promossi da Radicali e Lega sono sbarcati - insieme a quelli su eutanasia e cannabis - alla Consulta, e aspettano che tra nove giorni la Corte si pronunci sulla loro ammissibilità: se arriverà un sì, si potrebbe andare al voto già in primavera.

Nello stesso periodo, invece, la politica ha nicchiato e giocato di rimandi. Così le ottimistiche previsioni espresse - tra gli altri - dalla responsabile giustizia del Pd Anna Rossomando («I tempi del referendum sono lunghi, le riforme arriveranno prima», aveva pronosticato a fine maggio) sono andate in fumo. E l'ipotesi che la volontà delle Camere anticipi e «disarmi» la democrazia diretta dei sei quesiti appare, a questo punto, remota. Anche perché, ricorda al Giornale una fonte del governo, «la riforma ha una sola norma precettiva, quella sui criteri di elezione dei componenti del Csm, le altre sono tutte leggi deleghe che poi devono essere esercitate con i decreti, e sembra difficile che possano smontare i quesiti referendari».

La strada, per Palazzo Chigi, è dunque quella che la Guardasigilli Marta Cartabia aveva già indicato nel messaggio inviato a ottobre scorso a un incontro dell'Anm. Ossia che «i due percorsi» - quello parlamentare e quello referendario - «procedono paralleli ciascuno lungo binari destinati a non incrociarsi», e che i quesiti referendari riguardano aspetti certo «non secondari» ma comunque «specifici», non sovrapponendosi ai «più sistematici progetti di riforma su cui anche il governo si accinge a intervenire». L'urgenza è tutta per la riforma elettorale del Csm, da approvare entro la primavera per scongiurare che il Csm vada al voto con le vecchie regole, nonostante gli scandali e le storture e le promesse di intervento della politica.

E se tra Palazzo Chigi e Parlamento i tempi sono quelli che sono, stante anche la delicatezza e la sensibilità di un argomento che divide le diverse anime della maggioranza, la partita adesso si gioca tutta alla Corte costituzionale. Lì punta anche il leader leghista Matteo Salvini, che dopo le difficoltà incontrare come kingmaker per l'elezione del capo dello Stato cerca puntelli per la sua leadership con il referendum per cui lui e la Lega per primi si sono schierati a fianco dei Radicali. E infatti ieri, in collegamento col convegno «Il futuro della destra in Europa», il leader del Carroccio ha definito i sei quesiti «un banco di prova per il cosiddetto centrodestra». «Cosiddetto», ha rivendicato Salvini, «perché alla prova dei fatti sono stato uno dei pochi a credere all'unità della coalizione, che si è sciolta come neve al sole». E banco di prova, ha proseguito, «perché una riforma della giustizia che ci porta sul modello occidentale con la responsabilità civile diretta dei magistrati, con la separazione delle carriere, la riforma del Csm» metterà in chiaro, all'interno della coalizione uscita spaccata dal voto per il Colle, «chi avrà un atteggiamento liberale, moderno, conservatore europeista, atlantista e chi invece giocherà per la conservazione, giocherà di rimessa».

Sulla carta, nel centrodestra sono tutti d'accordo sui referendum, con qualche perplessità di Fdi su due quesiti (abolizione della legge Severino e limiti agli abusi della custodia cautelare), ma Salvini rivendica il suo ruolo di «motore»: «Sui referendum - ha concluso - io ci lavoro, e spero che nel centrodestra non ci sia qualcuno che si smarchi, perché le firme qualcuno le ha raccolte e qualcun altro no: se non si recupera uno spirito di squadra e ognuno pensa al suo orticello, non si vince».

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