«Nigro signanda lapillo», dicevano i Romani per definire una brutta giornata. E ieri, per Matteo Renzi, la giornata da sassolino nero c'era tutta: tra il caso Mafia Capitale, l'assedio di grillini e neofascisti urlanti al Campidoglio, lo scontro con le regioni del Nord sull'immigrazione, con il piano di ripartizione Ue ancora in alto mare, che rischia di slittare di mesi. E, per colmo di misura, anche l'inciampo in Senato sulla Buona scuola.
Un inciampo che dal punto di vista dell'iter legislativo non comporta alcuna conseguenza, ma che sul piano dell'immagine politica ha invece irritato non poco il premier: solo la sera prima, davanti alla direzione Pd, Renzi aveva spiegato alla minoranza che «i numeri per far approvare la riforma ce li ho», e poi ieri in Commissione Affari costituzionali la maggioranza non è riuscita a far approvare il parere di costituzionalità sul ddl scuola per l'assenza di alcuni senatori centristi (assenze casuali, spiegano a Palazzo Madama, dovute ad altri impegni parlamentari) e il voto dei due senatori di Gal, Giovanni e Mario Mauro (ma non sono parenti, pare) che hanno votato contro. In realtà uno dei due non avrebbe potuto votare, visto che il loro gruppo è sovra-rappresentato e il presidente Grasso ha già mandato una circolare per farlo presente, ma i due hanno votato lo stesso. Un incidente senza alcuna conseguenza, visto che il parere non è necessario e la riforma andrà tranquillamente in aula senza: «Era scontato che in quella commissione finisse così», ha commentato ieri il premier con i suoi, «ma non la cosa non ci creerà alcun problema: la legge va in aula ugualmente, e lì i numeri saranno ben diversi», assicura.
Ma gli ostacoli non mancano, e il problema dei numeri si può ripresentare ad ogni angolo. A cominciare dalla commissione Pubblica Istruzione dove la maggioranza è garantita da frondisti Pd in servizio permanente come Walter Tocci e Corradino Mineo. I quali, con astuzia volpina, intimano al premier (per non mettersi di traverso) lo stralcio delle assunzioni dei 100mila e passa precari della scuola, da approvare subito, per poi «ridiscutere il ddl». Ovviamente, a Palazzo Chigi non ci pensano neppure: la questione dei precari è una delle clausole di salvaguardia che danno al premier la certezza che la riforma passerà, e pure in fretta: «Voglio vedere chi si assume la responsabilità di rinviare in là quella legge, lasciando centomila persone senza lavoro a settembre». In ogni caso, ieri nell'assemblea dei senatori Pd si è iniziata l'opera di «sminamento», dopo le aperture di Renzi in Direzione. E nel Pd si prevede di arrivare anche, quando sarà il momento, ad un voto a maggioranza nel gruppo per vincolare tutti i senatori. Nel frattempo, un altro scontro interno si è consumato ieri in commissione Antimafia, dove la presidente Bindi è stata contestata da diversi esponenti dell'ufficio di presidenza e dello stesso Pd per l'iniziativa presa con la «lista degli impresentabili». Diverse le accuse: «Ha impedito la facoltà di replica a partiti e candidati, prevista dal regolamento», tuona il socialista Di Lello, segretario della commissione. «Su 17 nomi, due erano sbagliati», le ha fatto notare il renziano Ernesto Carbone.
La presidente della Commissione si è molto risentita, accusando i suoi accusatori di «diffamarla». Stasera i membri Pd della commissione discuteranno anche di un documento che contesta alla Bindi di aver «travalicato» i compiti della commissione, creando un «precendente che non deve ripetersi».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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