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Il governo si salva sul Mes ma Renzi mina i giallorossi

Il Salva-Stati passa anche al Senato. Il leader di Iv avverte: sulla task force e i Servizi voteremo contro

Il governo si salva sul Mes ma Renzi mina i giallorossi

Tutto finisce come era facilmente prevedibile, nonostante l'allarmismo mediatico degli ultimi giorni: al Senato non succede nulla, la risoluzione di maggioranza sul Mes passa agevolmente sia a Montecitorio che a Palazzo Madama, la temibile «fronda» grillina si ritira in buon ordine appena gli viene sventolato (appositamente) dal Colle il rischio di perdere lo stipendio.

Così a votare in dissenso per salvare la faccia viene delegato un gruppetto risicato, con la certezza che sia numericamente ininfluente: appena 13 alla Camera, 4 al Senato. Dove la risoluzione passa con 156 sì contro 129 no.

Certo, per garantirsi il via libera delle Camere senza incidenti, il premier Conte si presta alle consuete capriole verbali e ai consueti rinvii, oltre che ad una logorroica risoluzione di maggioranza che riesce a non dire nulla per 18 pagine. Ad esempio, il premier concede ai Cinque stelle che il via libera alla riforma del Mes che darà oggi a Bruxelles sarà solo una finta provvisoria: sarà il Parlamento, dice, ad avere «la responsabilità di ratificare il trattato». Fa promesse con scarsa attinenza con la realtà annunciando di voler «cambiare la Ue» facendosi «promotore di una proposta innovatrice per integrare il nuovo Mes nell'architettura europea. Il modello cui ispirarsi lo abbiamo già adottato, è il Next generation Eu». Non può dire apertamente che non chiederà mai il Mes sanitario (altrimenti il Pd si inalbera), ma tenta di farlo capire. Poi lancia accorati appelli alla sua coalizione perché cerchi di ricompattarsi, barcamenandosi tra l'antieuropeismo grillino e il pro-europeismo degli altri: la «varietà di opinioni» è una gran bella cosa, flauta, ma «ora serve la massima coesione della maggioranza per superare questa varietà in una sintesi superiore. Non dobbiamo disperdere energie, per consentirci di continuare a batterci in Europa per fornire il giusto contributo critico».

Il malessere della sua maggioranza, però, viene fuori dagli interventi d'aula del lungo dibattito. Se il più apertamente e chiaramente critico è Matteo Renzi, anche dal Pd arrivano bordate. «Lei deve avere umiltà, ascolto, orecchio attento al Paese. E sul Recovery plan non può commissariare il Parlamento», avverte il capogruppo Graziano Delrio. Sferzante anche Mario Monti, che sul presunto «stigma» del Mes sanitario spiega che bisognerebbe piuttosto preoccuparsi di un altro stigma più reale, quello di un Paese «che a causa della sua politica economica ha uno spread doppio della Spagna».

Italia viva attacca sul Mes: «Lei ha una grave responsabilità se dice no a quello sanitario. La leadership non è trovarsi al posto giusto al momento giusto per una fortunata coincidenza. È la capacità di tenere insieme un governo su obiettivi importanti», dice Ettore Rosato. Ma è l'affondo di Renzi a mirare al cuore del potere contiano, contestando non solo il «metodo» con cui il premier punta ad accentrare su di sé i poteri di gestione del Recovery plan (e su cui è già stato costretto alla marcia indietro), ma anche «il merito»: «Chi ha deciso che alla sanità andranno solo 9 miliardi? E al turismo 3? E alla scuola una risicata paginetta?». L'attacco è a tutto campo: non solo sulla governance del Recovery Plan, ma anche sulla «fondazione dei servizi segreti» voluta da Conte, il leader di Italia viva avvisa il premier: «Noi con grande lealtà glielo diciamo prima: voteremo contro. Anche se ci offrite posti in cabina di regia. Anzi: le nostre poltrone di governo sono a sua disposizione. Vi invitiamo a fermarvi finché siete in tempo».

Così, se Conte sperava di poter cantare vittoria per aver aggirato il voto di ieri, la festa gli è stata rovinata comunque.

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