Cronache

Avanti tutta su misure e Lamorgese. Quello stop a Salvini (con toni soft)

Niente toni polemici, solo pragmatismo: così l'ex Bce rimbalza tutte le richieste del leghista

Avanti tutta su misure e Lamorgese. Quello stop a Salvini (con toni soft)

Il tono non è perentorio come quello di fine luglio, quando Mario Draghi picchiò durissimo su Matteo Salvini. Ma il risultato è molto simile, perché su tutti i temi cari al leader della Lega il premier decide di tirare dritto come un treno in corsa. Avanti sul Green pass e sì a obbligo vaccinale e terza dose. Via libera alla cabina di regia chiesta da Salvini, ma esattamente per la ragione opposta a quella immaginata dal leghista: non per decidere «se» estendere il certificato verde, semplicemente per concordare «come» allargare la platea e a «quali settori». Infine, ok a un incontro tra «il senatore Salvini» e la titolare dell'Interno Luciana Lamorgese, da mesi nel mirino del leader leghista. Ma, ci tiene a precisare l'ex numero uno della Bce, «esprimo» solo «un'opinione personale» perché «devo chiedere al ministro se è d'accordo». Se ci sarà il faccia a faccia, dunque, lo deciderà Lamorgese, un dettaglio politicamente non indifferente. E che ha un sottinteso: non è Salvini a dettare l'agenda. Peraltro, il premier ci tiene a tessere le lodi del suo ministro che, dice, «lavora molto bene».

Nessun affondo diretto nei confronti del leader della Lega, dunque. Il metodo Draghi, d'altra parte, è anche questo. E si fonda sul pragmatismo. E la conferma che il presidente del Consiglio non ha intenzione di farsi condizionare dalle beghe dei partiti, a cominciare da quelle di una Lega ancora scottata dal caso Durigon, arriva non tanto dalle parole o dai toni polemici, quanto dai fatti concreti. Da quello che farà il governo sul fronte Green pass, vaccini e immigrazione.

Non è un caso che Draghi ci tenga a distinguere il piano della maggioranza con quello dell'esecutivo. «Il governo non fa il mestiere dei partiti, come i partiti non fanno il mestiere del governo», spiega nella prima conferenza stampa dopo la pausa estiva. E quindi se c'è bisogno di «un chiarimento politico» questo avviene «a livello di partiti». Dunque, non interessa Palazzo Chigi. «È chiaro che è auspicabile una maggiore disciplina nelle deliberazioni politiche», è la premessa di Draghi. Che, con tono piuttosto assertivo, aggiunge una postilla non irrilevante: «Il governo va avanti». Anche perché «sta in piedi perché lo vuole il Parlamento». Insomma, se ai partiti non va bene che lo venissero a sfiduciare alle Camere.

Come era inevitabile, Salvini non gradisce. Ma evita di mettersi in rotta di collisione con Draghi e affida a generiche «fonti Lega» le sue perplessità su Green pass, vaccini e Viminale. Tutte obiezioni a cui il premier aveva in verità già risposto durante conferenza stampa. Gli chiedono, infatti, se preferisce la Lega di Giancarlo Giorgetti (ministro nel suo governo) o quella di Claudio Borghi (che mercoledì ha votato contro il Green pass in commissione Affari sociali alla Camera). E l'ex numero uno della Bce risponde candidamente che «la Lega è una» e «ha un capo che è Salvini». Molti lo interpretano come un riconoscimento all'ex ministro dell'Interno, altri lo leggono come un modo sottile per inchiodarlo alle sue responsabilità: se in Consiglio dei ministri il Carroccio dà il suo benestare su chiusure, pass e vaccini è perché lo vuole il suo leader, non certo perché lo impone il Giorgetti di turno. Stesso ragionamento vale per Massimiliano Fedriga, presidente leghista della Conferenza Stato-Ragioni, quando spinge per estendere il certificato verde e ampliare la campagna vaccinale. Circostanza che proprio durante la conferenza stampa gli riconosce il ministro per gli Affari regionali, Mariastella Gelmini. Un modo per dire che, nonostante i distinguo di Salvini, tutto è stato concordato e condiviso con le Regioni e i loro governatori.

Leghisti compresi.

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