Politica

Il grande azzardo Dem e lo spettro di Nixon sulle elezioni del 2020

Nancy Pelosi durante una conferenza stampa a Washington, D.C
Nancy Pelosi durante una conferenza stampa a Washington, D.C

L'accelerazione improvvisa, che pareva una mossa azzardata, annunciata dalla speaker della Camera Nancy Pelosi di dare il via a un'inchiesta parlamentare con l'obiettivo di far decadere il presidente Donald Trump sembra aver trovato elementi di sostanza nel testo reso pubblico solo in parte dalla Casa Bianca della conversazione telefonica tra il presidente americano e quello ucraino Volodymyr Zelensky. Adam Schiff, il deputato californiano che presiede il comitato d'intelligence sulla Casa Bianca, afferma dopo aver letto quelle parole che Trump insiste nel definire prive di aspetti irregolari che ciò che è stato trovato è di gran lunga più compromettente di quanto ci si aspettasse. Trump ha davvero fatto pressione su Zelensky perché mettesse in difficoltà Joe Biden, ha davvero usato la concessione di aiuti militari per centinaia di milioni di dollari all'Ucraina come strumento di quella pressione e secondo Schiff, che non va dimenticato, è un democratico nel farlo ha usato un linguaggio che ricorda quello dei mafiosi. A questo punto la fase politica delicatissima che precede l'avvio della vera e propria campagna per le presidenziali 2020 è completamente sconvolta, e da qui in avanti tutto il dibattito sarà ampiamente condizionato dal tema dell'impeachment, spettro che potrebbe materializzarsi anche in pochi mesi.

Nancy Pelosi, che ha lunga esperienza di politica al massimo livello, sapeva evidentemente quello che faceva, anche quando considerava che per ottenere i due terzi di maggioranza al Senato che serviranno per approvare la destituzione del presidente i democratici avranno bisogno di diverse decine di voti dei colleghi repubblicani: qualcosa che potrebbe accadere solo in presenza di prove schiaccianti su gravi irregolarità commesse da Donald Trump. Insomma, i «dem» in difficoltà avevano scommesso fortissimo sull'eventualità che si ripeta una situazione simile a quella che nell'estate del 1974 portò alle clamorose dimissioni del presidente repubblicano Richard Nixon, costretto al suicidio politico dopo che i suoi stessi compagni di partito l'avevano abbandonato considerandolo ormai indifendibile. Non è però impossibile che la scelta di giocarsi fino in fondo la partita dell'impeachment, decisa prima ancora che i contenuti della ormai famigerata telefonata del 25 luglio venissero diffusi, si spieghi in realtà con la debolezza del fronte democratico, incapace di presentare un'alternativa vincente e convincente a un Trump che pure mostra evidenti punti deboli: un disperato «o la va o la spacca», quindi, una scommessa audace che ora sembra avere più possibilità di esser vinta.

A proposito della lunga esperienza di Nancy Pelosi, colpisce rivederla e riascoltarla nei suoi interventi al Congresso del 1998, quando erano stati i repubblicani a lanciare il guanto di sfida dell'impeachment contro l'allora presidente democratico Bill Clinton, finito impigliato nel celebre caso Lewinski. Ventuno anni fa, la Pelosi difendeva i principi del garantismo contro gli attacchi alla privacy del presidente, con i tipici toni indignati che i democratici di tutto il mondo usano contro i barbari della destra.

Oggi tutto questo è volentieri dimenticato: c'è da demolire Donald Trump, il detestato tycoon dell'America First che rischia di vincere anche nel 2020.

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