Prima «mai con il Pd», poi il fronte giallorosso e ora la paura di finire fuori dal campo largo. Nel Movimento nato più di 12 anni fa per impattare contro le divisioni del centrosinistra, adesso il problema è quello di essere tagliati fuori dal campo progressista. La determinazione anti grillina di Carlo Calenda preoccupa, i silenzi dell'alleato Enrico Letta fanno sorgere una serie di domande. Giuseppe Conte, leader del M5s sospeso dai giudici di Napoli, prova a uscire dall'impasse e manda un messaggio al segretario dem: «A noi non interessa creare accozzaglie solo per puntare alla gestione del potere». E ancora: «Il nostro progetto politico è a forte impronta progressista, facile riempirsi la bocca di riformismo, altro conto è cambiare l'Italia». Quindi, conclude polemico Conte, «c'è una differenza sostanziale tra campo largo e campo di battaglia». La richiesta a Letta è forte e chiara, speculare a quella avanzata da Calenda al Palaeur di Roma durante il primo congresso di Azione: o noi o loro. Ma dietro l'esibizione muscolare in risposta all'attacco dell'ex ministro, covano i timori del corpaccione dei Cinque stelle.
L'irritazione si irradia dai territori fino a Montecitorio e Palazzo Madama. In molte città al voto a giugno, tra cui 23 capoluoghi di provincia, i pentastellati sono al liberi tutti. C'è chi vuole andare senza il Pd, chi spinge per un'alleanza e chi vuole presentarsi con un nuovo simbolo, perché «il logo del M5s è logoro dopo le ultime vicende giudiziarie». Chi ha il polso dei territori vede concretamente il rischio di scomparire da quasi tutti i Consigli comunali, soprattutto dove i Cinque stelle decideranno di non correre insieme al Pd. Intanto è partito il conto alla rovescia per l'udienza del 1 marzo, quando il Tribunale di Napoli si esprimerà sull'istanza di revoca della sospensione dello Statuto presentata dagli avvocati di Conte. «Se verrà rigettata saremo punto e a capo e avremmo perso solo tempo», sibila una fonte parlamentare. E Beppe Grillo continua a non escludere, nei suoi colloqui privati, un ricorso alla piattaforma Rousseau per il voto del Comitato di garanzia. Un passaggio che per Conte avrebbe il sapore della sconfitta politica.
Ma non ci sono solo le questioni giudiziarie e il terrore di scomparire nelle città. Nei gruppi parlamentari si preconizza «l'estinzione del M5s a livello nazionale». Infatti le elezioni politiche del 2023 sono vicine e stare fuori dal campo largo vorrebbe dire consegnarsi all'isolamento. La situazione la riassume così un autorevole parlamentare grillino: «Senza il Pd ci ritroveremmo all'opposizione con il 10% e con non più di quaranta-cinquanta deputati e senatori».
E un ritorno del proporzionale servirebbe a poco, perché il veto di centristi e riformisti potrebbe avere l'effetto di tagliare fuori dal perimetro di governo un M5s rimpicciolito dalle urne delle prossime politiche. Perciò ci sono alcuni eletti che hanno ricominciato a guardarsi intorno e vogliono andare via. I pessimisti prevedono una trentina di addii da qui alla fine della legislatura.
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