Quando il gioco del Quirinale inizia a farsi duro, gli esperti iniziano a fare i conti. Tra i navigati nelle perigliose acque dell'aritmetica quirinalizia ci sono i veterani del Parlamento, quelli con più legislature alle spalle, e tra questi per definizione gli ex democristiani, custodi delle più segrete alchimie parlamentari. È un'arte che contempla il calcolo delle probabilità e la psicologia, specie quella delle menti che compongono il gruppo Misto, mai così popoloso (conta 48 senatori e 66 deputati, tra cui moltissimi ex M5s). È soprattutto da lì che possono arrivare i voti decisivi dopo la terza votazione, quando basterà la maggioranza assoluta (la metà più uno, cioè 504 voti), non più quella qualificata (i due terzi, cioè 672 voti). A quel punto, dicono gli esperti, i numeri su cui può contare il centrodestra possono concretizzare la candidatura di Berlusconi. Uno dei navigati di cui sopra è il leghista Roberto Calderoli, da una vita vicepresidente del Senato, un cultore dei tecnicismi d'aula che nella partita del Colle diventano cruciali. Per Silvio Berlusconi al Quirinale «numeri alla mano, le possibilità ci sono tutte», dice al Corriere, di voti «ne bastano 430. Il resto arriva». Sulla carta il centrodestra ha già 450 voti, ne mancherebbero una cinquantina.
Il pronostico di Calderoli si basa sull'esperienza, anche della truppa leghista evidentemente. E quindi, da dove arrivano questi voti decisivi? «Sono i non ricandidabili (quelli che non hanno chance di ricandidatura per il taglio dei parlamentari e per il calo del consenso del proprio partito, penso in particolare a M5S e Pd) quelli che più possono venire in soccorso». In cambio di cosa? «Della garanzia che non si vada ad elezioni, che la legislatura arrivi fino in fondo», una probabilità che invece crollerebbe se al Quirinale andasse Draghi e la maggioranza si trovasse con il problema di trovare un sostituto.
Le premesse ci sono: il centrodestra per la prima volta ha i numeri e ha un candidato condiviso, serve una prova di forza e un bel po' di tattica. La carta Berlusconi, per funzionare, deve comparire solo nella quarta votazione, nelle prime tre rischierebbe di essere bruciata. Arrivati a quel punto tutto può succedere, e gli ordini di partito si perdono nella nebbie del Parlamento. Un altro grande conoscitore della materia è l'ex Dc Gianfranco Rotondi. Spiega che un accordo politico sul Cavaliere, che vada oltre il centrodestra, al momento non c'è, nemmeno con Renzi. Ma «nel segreto dell'urna prevalgono umori, simpatie, valutazioni personali, e da questi sentieri si imbocca una autostrada di possibile consenso per il Cavaliere» spiega Rotondi. Lui è uno degli «untori democristiani» (autodefinizione) che lavora all'arruolamento dei voti in più per Berlusconi. Lo guida l'esperienza, non la fantapolitica: «Sono elezioni che si vincono sul filo dei rapporti, terreno su cui il Cavaliere è imbattibile. Così arriveranno consensi che nessuno potrà immaginare». E come si fa a non interpellare Mastella, un'autorità indiscussa, il Balzac di quella commedia umana che si dipana nelle aule del Parlamento in occasioni come l'elezione del presidente delle Repubblica? L'ex leader dell'Udeur sa che «nessuno controlla i gruppi parlamentari», soprattutto il più numeroso, il M5s, da cui possono arrivare molte sorprese.
«Se il centrodestra è compatto spiega l'ex ministro - recuperare 40-50 voti dall'altra parte e nel misto non è difficile. I peones vogliono arrivare fino alla fine della legislatura. Se non si troverà la quadra su un riferimento ampio, Berlusconi può giocare per vincere». Parola di Mastella.
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