Grasso fa la voce grossa, ma sul Senato intesa vicina

RomaSarà ricordata come la riforma-bagarre (se sarà ricordata). Tra il suq di una scandalosa campagna-acquisti di senatori - denunciata in un appello al capo dello Stato dal capogruppo forzista Romani - e l'imbarazzo per le pressioni a chiunque si metta di traverso.

A notte fonda, dopo l'ennesima giornata tumultuosa, l'accordo sembrava però ormai cosa fatta, con la maggioranza riunita a oltranza per proporre 4-5 emendamenti al proprio ddl nei quali recepire il «lodo Tatarella» e qualche altra concessione, in particolare a Calderoli per scongiurare la sua milionata di emendamenti. Alla riunione sono arrivati in un secondo momento anche Vannino Chiti e Maurizio Migliavacca, esponenti della minoranza Pd. «Ci sono stati passi avanti - ha commentato Migliavacca all'uscita - ma l'intesa deve essere ancora definita». E siccome a non fidarsi di Renzi e della Boschi non si fa peccato, ciascuno andava ancora con i piedi di piombo. Soltanto alla scadenza del termine per la presentazione degli emendamenti (stamane alle 9) si capirà se la minoranza dem, dopo gli apprezzamenti, passerà pure a ritirare i propri 17 emendamenti, tre dei quali sul benedetto articolo 2. Calderoli, invece, andando via dal Palazzo in serata esprimeva speranza per «un'ottima sorpresa». Altrimenti, faceva capire d'esser pronto a fare lui una bella ma sgradita sorpresa alla Boschi.

La prima delle sorprese era stata però, ieri mattina, già quella riservata ai senatori dal presidente Grasso. Il quale, considerati i 110 iscritti a parlare, decideva il taglio della metà del tempo d'intervento (da 20 a 10 minuti). Forse segnale di disponibilità nei confronti dell'irruento premier, ieri l'altro arrivato alle minacce, che veniva però interpretato ben oltre da Calderoli, Malan e Mauro; quest'ultimo arrivato a esprimere «solidarietà nei confronti di Grasso per le indebite e inedite pressioni del presidente del Consiglio». Il presidente del Senato reagiva male. «Tutto avrei potuto immaginare, tranne che una decisione che è frutto di prerogative presidenziali potesse essere interpretata come un cedimento a eventuali pressioni. Siccome il senatore Mauro ha insinuato questo, rispondo sul punto. Non le permetto di pensare né di sospettare una cosa del genere».

Ma che i rapporti con Renzi siano al minimo storico, diveniva evidente quando, nel pomeriggio, a Palazzo Giustiniani veniva ospitata la presentazione del volume Costituzioni italiane, 1796-1848 . A nulla serviva il colloquio di conciliazione della ministro Boschi, accorsa in sala Zuccari a sedare l'irritazione di Grasso (ormai oltre la grazia di dio). Se il successivo intervento della ministro era la solita leziosa e deformata lezioncina di storia costituzionale a uso e consumo di Palazzo Chigi, quello di Grasso riaffermava un livello più alto nei toni e negli argomenti. «Le regole della democrazia qualificano la libertà di ciascuno di noi e vanno maneggiate con cura e cautela, misurando le parole e pensando alle future generazioni», ammoniva. Poi, ancora più chiaramente alludendo a Renzi: «Richiamo ancora una volta le parti politiche a non trattare la materia costituzionale come strumento di bassa politica, e invito ad anteporre l'interesse generale a quelli particolari e personali... La storia è spesso utilizzata e distorta non per conoscere e capire, ma per giustificare il presente o posizioni politiche attuali... Se è vero che la Costituzione è un organismo vivente... vi sono limiti che nessuna revisione può superare...

E le due dimensioni proprie delle Costituzione, di essere limite al potere e patto attraverso il quale si esercita la sovranità popolare, si rivelano oggi più che mai attuali». Più chiaro di così, non si può. Si attendono sorprese, a grappolo.

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