Il toccasana per i conti delle Asl e delle Regioni si chiama farmaco generico: negli ultimi sei anni ha fatto risparmiare al Servizio sanitario nazionale un miliardo e mezzo di euro, 900 milioni di euro in soli tre anni. Morale: se una regione adotta gli equivalenti, che costano meno a parità di principio attivo, risparmia sulla spesa sanitaria complessiva tagliandola di un bel 30-40%; se li snobba e preferisce i medicinali «firmati» allora far quadrare i conti diventa impresa impossibile. E i numeri lo dimostrano. Le Regioni più virtuose usano il 40% circa delle confezioni di farmaci generici, mentre quelle con i conti in rosso si limitano ad acquistare solo in minima parte i generici. Qualche esempio. Nella provincia di Trento il 37% delle confezioni rimborsate dal Ssn riguarda i farmaci generici, in Lombardia la quota sfiora il 34% e in Emilia il 32%, seguita dal Veneto che si assesta sul 30%. Scendiamo al Sud e rileviamo che in Campania, Basilicata, Calabria, Sicilia, la percentuale crolla al 17%. Questo significa che neppure due generici su dieci viene acquistato dalle regioni sottoposte a piano di rientro che avrebbero tutto l'interesse a risparmiare per dare fiato alle casse sanitarie ormai al collasso. La quota del mercato italiana dei generici, nonostante gli sforzi, resta sempre molto basa. Solo due confezioni scarse di medicinale dispensato su dieci è generico, a differenza degli altri paesi Ue dove un farmaco su due è equivalente. È dunque tutta in salita la strada per allinearci con il resto dell'Europa. Gli italiani acquistano solo pochi e mirati farmaci generici. I più gettonati sono quindici. E riguardano i principi attivi che combattono l'ulcera, il colesterolo, l'epilessia, l'ipertensione, il diabete. Ci sono anche un paio di antibiotici e un adiuvante per il tumore alla mammella. Ma di prodotti ce ne sono molti altri. Non è un caso che attorno al mercato del farmaco generico gravitino diecimila addetti, 37 siti produttivi, 60 aziende. Il suo fatturato si aggira attorno ai tre miliardi di euro e vanta un export del 44,8 %. Il comparto è solido e in espansione. Ma ha bisogno di più slancio. Gli italiani sono molto legati alle loro vecchie abitudini di acquisto. A volte preferiscono sborsare soldi in più e mettersi in tasca il farmaco di marca. Da gennaio a giugno scorso, per esempio, hanno speso 456 milioni di euro per pagare la differenza di prezzo tra farmaco generico e originale a brevetto scaduto, e già 34 milioni nella prima settimana di luglio. La riluttanza al cambiamento aumenta ancora di più quando si parla di principi attivi biologici, un settore che vale 57 miliardi di euro a livello mondiale e dove l'Italia spende 1,5 miliardi di euro all'anno. Una cifra astronomica che si potrebbe contenere se non ci fossero molti ostacoli al cambiamento. Mentre in Europa ci sono mercati maturi come quello tedesco o quello francese che hanno accolto con entusiasmo i biosimilari, in Spagna e in Italia si arranca, Nel nostro paese, per esempio, i farmaci biosimilari faticano a infrangere il muro della diffidenza.
E anche nell'utilizzo di queste molecole alternative c'è un grosso divario tra Nord e Sud, tra le regioni virtuose e quelle che sono in profondo rosso. Eppure le stime dicono che, nonostante queste resistenze, nel 2018 si riuscirà a risparmiare 500 milioni di euro.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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